L'Editoriale
Venerdì 12 Maggio 2017
Legalizzare la cannabis
Il rischio ideologia
Negli ultimi tempi il tema della liberalizzazione delle droghe leggere ha visto alcuni magistrati uscire allo scoperto. Il primo a rompere il ghiaccio seppur con valutazioni molto prudenti era stato Raffaele Cantone, oggi a capo dell’Autorità anticorruzione. Poi il discusso Procuratore di Napoli John Woodcock aveva addirittura lanciato un appello chiamando altri giudici ad aderire. Anche il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha detto la sua, proponendo una legalizzazione gestita e controllata dai Monopoli dello Stato.
L’Associazione nazionale magistrati ha voluto precisare che comunque quelle posizioni non rappresentavano una posizione ufficiale, in quanto ci sono esponenti da sempre pubblicamente contrari alla legalizzazione: tra loro c’è ad esempio un magistrato autorevole come il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Si è anche detto che le toghe dovrebbero esimersi da prendere posizioni pubbliche su queste materie; è vero invece che i magistrati hanno una conoscenza da prima linea sulla materia, per cui possono portare elementi utili al dibattito e anche al legislatore. Sempre che le loro uscite non siano dettate da ragioni ideologiche, di qualsiasi sponda siano.
Non è stata ideologica, ad esempio, l’analisi fatta da Franco Roberti. Il quale, motivando le sue ragioni a favore della legalizzazione, ha messo in guardia da un rischio evidentemente sottovalutato dai liberalizzatori: quello di una produzione indiscriminata di marijuana. «Deve essere lo Stato nella sua centralità, e in via esclusiva, a occuparsi della coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati», ha detto Roberti. Che poi in modo molto secco ha spiegato di essere «radicalmente contrario» ad una produzione affidata a giovani coop o a ragazzi.
Ma che sia lo Stato a produrre qualcosa che nuoce alla salute ai cittadini è una contraddizione inaccettabile per un altro magistrato come Gratteri. «Uno stato democratico si deve occupare della salute e della libertà dei suoi cittadini», ha detto. «Noi sappiamo invece che qualsiasi forma di dipendenza genera malattie, in particolare psichiche, ma genera anche ricatto».
Dai numeri resi noti dal Procuratore Roberti emerge poi un’altra contraddizione che deve far riflettere: la maggioranza dei consumatori abituali di droghe leggere oggi sono minorenni. Un’eventuale legalizzazione con vendita nelle tabaccherie, come è stato proposto, li escluderebbe comunque dal mercato: infatti sarebbe davvero inverosimile che la proibizione (con tanto di multa al rivenditore che viola la norma) che riguarda la vendita di sigarette ai minorenni non fosse allargata anche agli spinelli. In sostanza l’illegalità continuerebbe a riguardare la parte più consistente dei consumatori.
Un numero così elevato di dipendenza tra minorenni dovrebbe in realtà sollevare un’altra questione su cui sarebbe interessante sentire qualche parere di magistrati: cosa si dovrebbe fare per prevenire e per dare più consapevolezza ai ragazzi sui rischi connessi al consumo. Invece troppo spesso ci si appiattisce sull’idea comoda che il consumo sia un fatto di libertà, quando qualsiasi intelligenza adulta e dotata di capacità critica dovrebbe spiegare ai ragazzi che i consumi nel nostro modello di civiltà sono quasi sempre indotti. E non solo: che quello stesso modello punta sempre alla fidelizzazione del consumo per garantire una stabilità di mercato. Quindi bisogna imparare a difendersi. Per questo sarebbe legittimo attendersi che all’attenzione riservata al tema della legalizzazione corrisponda un’attenzione almeno uguale se non superiore al tema della prevenzione. Se questo non succede vuol dire che ci troviamo di fronte a dibattiti in un’ultima istanza solo ideologici.
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