Lega e 5 stelle
marciano uniti

Si è conclusa anzitempo la partita delle presidenze parlamentari: l’accordo tra il centrodestra e il Movimento Cinque Stelle ha condotto sulle poltrone più alte di Montecitorio e di Palazzo Madama una esponente di Forza Italia, Elisabetta Casellati, e uno dei capi storici grillini, Roberto Fico. Due moderati, tutto sommato, in possesso dello standing «istituzionale» che necessita se si occupano cariche di quella importanza, considerazione che vale meno per la Casellati – professionista di successo, parlamentare di lungo corso, già membro del governo e del Csm – ma sicuramente per Fico, rappresentante di un movimento politico che ha fatto della propria diversità ed estraneità dalla «Casta» la propria cifra politica e il motore del successo elettorale.

Del resto i discorsi che entrambi hanno tenuto subito dopo la loro elezione, al netto della inevitabile retorica di simili circostanze, dava il senso di questo carattere rassicurante dei due presidenti: Fico ha persino fatto un omaggio alla burocrazia della Camera dei deputati, elogiandone la qualità professionale, nonostante anni passati a contestarne stipendi, prebende e privilegi.

A questo risultato si è arrivati tutto sommato in fretta ma non senza lacerazioni e fratture che hanno riguardato soprattutto il centrodestra. Nel corso delle trattative è emersa tutta la fragilità di una coalizione che ha vinto la sua partita in campagna elettorale e nelle urne ma si rivela divisa quando si tratta di decidere insieme cosa fare. Tra Berlusconi e Salvini in particolare questa divisione è apparsa evidentissima, laddove il capo leghista sembrava assai più in sintonia con Di Maio che con il Cavaliere suo alleato, quasi un tramite tra i due ma pronto – se necessario – a menare fendenti proprio al suo sodale piuttosto che all’«avversario» grillino. Il quale tanto avversario ormai non sembra più essere. Quando, dopo mille contorsioni, veti reciproci e forzature, si è finalmente chiuso il cerchio sui nomi della Casellati e di Fico, Forza Italia ha tenuto a precisare che l’accordo con il M5S sulle presidenze non prefigurava quello, futuro, sul governo, ma in realtà il sospetto che serpeggia dentro Forza Italia, da Berlusconi in giù, è proprio che ormai Salvini e Di Maio abbiano deciso di marciare insieme verso l’alleanza politica e di governo. Un governo «giallo-verde» che i berlusconiani da una parte osteggiano, dall’altro temono perché rischia di tagliarli fuori (proprio come ad un certo punto sembrava stesse succedendo sulle presidenze). Inoltre il dubbio di Berlusconi è anche su quanti suoi fedelissimi sarebbero pronti ad abbandonarlo per seguire il giovane capo leghista nella sua avventura: le amarezze di Paolo Romani, escluso dalla corsa per la presidenza del Senato, peseranno negli equilibri interni al partito. Senza escludere che Lega-M5S potrebbero decidere di stabilire un’intesa per cambiare la legge elettorale e andare di nuovo ad elezioni prosciugando sia Forza Italia che il Pd. Sarebbe la nascita di un nuovo bipolarismo destra leghista-sinistra grillina.

Quanto al Pd: anche se all’interno dell’ex partito renziano si sono agitate non poche pressioni per provare ad «entrare in partita» magari guadagnando qualcosa dalle divisioni interne al centrodestra, all’esterno non ci si è mossi di un solo millimetro dalla linea stabilita da Matteo Renzi: «Noi all’opposizione, adesso tocca a loro provarci, vediamo come riescono a combinare». Una linea però che ha il sapore amaro dell’isolamento politico e che presupporrebbe un’azione politica molto intensa alla base per poter convogliare pezzi di opinione pubblica contro l’asse Salvini-Di Maio. Il punto è se il Pd sia in grado di una tale mobilitazione dopo la dura sconfitta elettorale: a questo si dovrà lavorare nei prossimi mesi. Ma prima occorrerà che si trovi un nuovo equilibrio interno tra i renziani e le altre correnti: sempre, beninteso, che continuino a marciare insieme.

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