L’economia reale
è in moto

L’economia reale viaggia. Ma la finanza scommette contro l’Italia. È lo strabismo paradossale che emerge dalle notizie di questi giorni. La prima ci è molto vicina. Il rapporto congiunturale di fine anno della Camera di commercio, pubblicato ieri, porta conferme che rincuorano: numeri incoraggianti, dopo tante incertezze. Il balzo del quarto trimestre 2017 della produzione industriale di casa nostra ha il suono rotondo di un più 6,7% che non ha eguali negli ultimi sette anni, così come l’incremento medio globale del 3,4% annuo.

L’effetto trascinamento dà slancio anche al 2018, con i due settori oggi chiave nel panorama della manifattura orobica, meccanica e gomma-plastica, in grande spolvero. L’occupazione cresce molto meno, ma cresce e lo fa da dodici trimestri consecutivi, ovvero da tre anni. E l’artigianato che resiste, dopo aver lasciato sul campo centinaia di piccole imprese che non hanno retto l’urto della crisi, ritrova tonicità e si mantiene in territorio positivo.

È l’immagine riflessa in scala provinciale di uno scenario più generale. L’economia ha ripreso a girare. Il grafico del Prodotto interno lordo del nostro Paese, da encefalogramma piatto fino a tre anni fa, ha cominciato a rivitalizzarsi, raggiungendo nel terzo trimestre del 2017 un insperato più 1,7% anno su anno: un passo avanti in attesa di consolidamento.

Ma ecco che mentre l’Italia che produce si è rimessa in moto, in questi giorni di fine corsa della solita campagna elettorale gridata, alcuni fondi speculativi (hedge fund) hanno scommesso fior di miliardi sull’instabilità politica del nostro Paese dopo il voto del 4 marzo. Non c’è di che rallegrarsi. Certo, sulla regolamentazione dei mercati finanziari ci sarebbe da discutere.

Fermandoci tuttavia al puro dato di cronaca, non si può che registrarlo con una certa amarezza e sperare che le attese dei fondi saranno smentite. Possiamo meritarci qualcosa di più e di meglio di un’arena politica litigiosa, specchio, ahinoi, di un Paese diviso, impaurito e, come è stato ben fotografato dal Censis, rancoroso. Perché se è vero che l’economia produttiva è ripartita, è pur vero che l’italiano medio non se n’è ancora accorto perché nelle sue tasche è cambiato poco o nulla. In uno dei suoi rapporti più recenti, il Fondo monetario internazionale ha evidenziato che il reddito reale disponibile pro capite è ancora inferiore a vent’anni fa.

Non a caso, tornando dal nazionale al locale, nello scenario congiunturale provinciale nel complesso positivo, il commercio cresce ma con numeri nettamente inferiori. Si compra e si spende di più, ma sempre con una certa attenzione a non svuotare troppo il portafogli: sai mai, come sarà domani. E su questo e altri timori fanno leva promesse elettorali mirabolanti a corto raggio e scontri quotidiani che solleticano la pancia ma non risolvono i problemi.

Risposte serie e di lungo respiro, capaci di guardare all’Italia di dopodomani e non solo di oggi, si dovranno però pur dare: un debito pubblico stabilizzato da ridurre ancora; un taglio alla spesa pubblica improduttiva che fatica sempre a decollare; un rapporto virtuoso e accettabile con burocrazia e Fisco; una prospettiva pensionistica sostenibile per le storie dei singoli e per i conti pubblici, che faccia i conti anche con l’indispensabile necessità di dare spazio nel lavoro ai giovani. L’economia reale che gira, fatta di imprese e di lavoratori, merita molto più di qualche slogan. Per continuare a crescere. E per ricucire il Paese non solo nei numeri dei bilanci, ma anche nella sua base sociale.

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