L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 30 Dicembre 2018
Le sfide del futuro
Il tesoro dei giovani
L’anno che sta per chiudersi si è caratterizzato, tra le altre cose, dall’attenzione che la Chiesa ha posto nei confronti del mondo giovanile. Non è preoccupazione solo ecclesiale: molti sono gli studi che ripetono ossessivamente delle scarse possibilità offerte ai giovani dal Paese e, di conseguenza, della fuga che molti di essi sono costretti a intraprendere per trovare un futuro degno. In tempi recenti è avvenuto qualcosa di simile: si era alla metà degli anni Ottanta, quando le Nazioni Unite dichiararono il 1985 «Anno internazionale della gioventù».
La Chiesa raccolse la sfida: Giovanni Paolo II inventò le Gmg, il Vescovo di Bergamo – monsignor Giulio Oggioni – dopo aver dedicato un convegno ai giovani, produsse il «Direttorio per gli oratori della Diocesi di Bergamo». Anche in quell’occasione si era a cavallo di un passaggio epocale: la guerra fredda era all’apice, appena alle spalle il Sessantotto e gli anni di piombo. Le ideologie (che sui giovani avevano fatto leva con forza) cominciavano a scricchiolare: alle porte c’era la caduta del Muro di Berlino. Furono anni di svolta: ci si voleva scrollare di dosso il grigiore della violenza. I giovani protagonisti della contestazione entravano nella classe dirigente, preparandosi a scrivere le pagine della Seconda Repubblica.
Chissà se lo sguardo che oggi si è posto sui giovani, sarà generativo di una stagione nuova (anche se non perfetta) così come capitò allora. Da una parte ci sono loro: i giovani, che per caratteristiche legate alla loro età sono sempre apparsi pronti ad affrontare il futuro; magari non come chi li ha preceduti, immergendoli in uno scetticismo diffuso. C’è da scommettere – contro ogni più nera previsione – che anch’essi sapranno esprimersi offrendo il loro contributo.
Di quale tipo esso possa essere, non dipende solo da loro, ma da ciò che gli adulti saranno disposti a fare. Chissà se e quando ci sveglieremo dall’ubriacatura di shopping (che sta anestetizzando i desideri più veri e profondi) e di social media (che non stanno certo generando relazioni sincere e fraterne). Fiduciosi dei meccanismi della tecnica e della scienza, rischiamo di pensare che anche il nostro mondo interiore funzioni come un dispositivo automatico. Fare domande al signor Google, ci sta facendo dimenticare di essere «figli». Sta capitando ai giovani quanto agli adulti e dà la percezione che la propria vita non sia originata da nessuno. Ma fare domande a un dispositivo elettronico, dà l’illusione di non dover dare conto a nessuno del proprio esistere. L’umanità di Dio, in Gesù, esprime il suo titolo più alto proprio nel definirsi «Figlio». Il Natale che abbiamo appena celebrato, ricorda che persino Dio, scegliendo la via dell’incarnazione, non applica al mondo e agli uomini un amore che piove dal cielo e si stende come una patina sulle nostre vite. Anche il suo è un amore fatto di desiderio, di passione e persino di gelosia. Un amore che chiede cura, dedizione e riconoscimento; un amore che per realizzarsi chiede la disponibilità a lasciarsi ferire.
Il Sinodo dei giovani attende percorsi di attuazione. L’attenzione ai figli (molto protettiva da parte dei genitori; molto superficiale se non inesistente da parte della politica) chiede agli adulti di alzare la testa dall’ombelico: soprattutto da quell’individualismo che sta prendendo la vita di tutti, anche dei cristiani, quando ci si accapiglia su tutto, con l’unico obiettivo di far prevalere il proprio punto di vista. Senza il minimo sospetto che nella vita ci si può anche sbagliare.
La dedizione educativa mette in conto i fallimenti, ma sa scommettere sul futuro perché ha fiducia nella promessa di bene che ogni vita offre quando si presenta al mondo. Custodire la presenza dell’Altro che scende dal cielo, pretende l’impegno della custodia del fratello. Genitori che si spendono, preti che sorridono alla loro comunità, educatori che accompagnano, politici che creano possibilità: la strada che dà casa ai giovani è un’impresa comune. È troppo sognare che in questo «cambiamento d’epoca» la cura delle nuove generazioni possa essere uno di quegli obiettivi attorno al quale ci si prende per mano?
Trent’anni fa cercavamo di toglierci di dosso il peso della violenza. Oggi ad essere violente sono le parole che nascono dal vuoto che abbiamo creato dentro di noi e che fa paura. La fiducia nel futuro non è un sogno sospeso, ma viene dalla capacità di tornare a dare il meglio di se stessi. Eccola: è concreta speranza per l’anno che si apre e che per essere nuovo deve cambiarci in meglio.
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