Le leadership
improbabili

Nel complesso delle iniziative per il centenario della Grande guerra è stata pubblicata con l’evocativo titolo «Il capo» (Il Mulino, 2017) una ricca biografia di Luigi Cadorna, il comandante di Caporetto, scritta dallo storico Marco Mondini. Per stessa ammissione dell’autore, il libro, oltre a ricostruire la vicenda umana e storica di Cadorna, è una riflessione sulla leadership. Certamente, Cadorna era un capo molto particolare: operava infatti in un contesto straordinario, militare e di guerra. Egli interpretava il comando secondo il più deciso accentramento; nutriva sospetto verso i sottoposti e sfiducia, se non disprezzo, verso i soldati; era disattento alle conseguenze psicologiche delle sue decisioni; ed era noncurante della condivisione degli obiettivi.

E tuttavia, pur agendo in modo rigidamente accentrato, Cadorna è costantemente sfuggito all’assunzione delle sue responsabilità, non essendo mai stato nemmeno sfiorato dal dubbio di aver commesso errori nella débâcle militare italiana. Questo atteggiamento, ricorrente anche nelle leadership più autoritarie, getta una luce oscura sul rapporto, spesso enfatizzando, tra comando e responsabilità. Peraltro, gli studi aziendalistici più recenti contestano questo stile di leadership, ritenuto incapace di coinvolgere e di stimolare il senso di partecipazione. Si propone piuttosto una leadership «trasformazionale», che mira cioè a stimolare motivazioni e a valorizzare e sviluppare capacità nel gruppo.

Già Max Weber aveva insegnato come ogni potere debba cercare di coltivare la fede nella propria legittimità, suscitando una volontà di obbedienza che può fondarsi su diversi fattori: la fiducia nella razionalità del potere legale; o nel suo carattere tradizionale; o infine sulla qualità carismatica del capo. Qualsiasi forma di comando ha dunque bisogno di suscitare una disponibilità all’obbedienza, rivelando così l’intrinseca «fragilità del potere».

Su un altro «fronte» ancora la fallimentare esperienza della leadership del generale Cadorna può risultare istruttiva. Egli era intimamente convinto che il rigore e la disciplina, nonché il senso del sacrificio, propri della vita e dell’organizzazione militari fossero principi da estendere alla vita civile, come rimedi ai guasti in essa prodotti dal liberalesimo (oggi diremmo da un eccesso di libertà) e dal socialismo, e perfino alla vita istituzionale. Attraverso la superiorità morale del potere (militare) si doveva imporre l’ordine al popolo italiano, tendente all’indisciplina. È la ricorrente tentazione del potere di riformare gli italiani. La Costituzione italiana sembra rovesciare i piani della gerarchia di Cadorna: non solo doveva essere l’ordinamento democratico della vita civile a dover permeare e riformare l’ordinamento delle forze armate, riducendone di molto la specialità; ma la stessa riforma della società doveva partire dal basso, dalla partecipazione e dall’assunzione di responsabilità dei cittadini, secondo l’ideale della democrazia fondata sul lavoro. Questo non significa che la Costituzione rinunci alla dimensione della leadership: essa la intende però come servente, in funzione cioè capacitante, orientata a valorizzare le differenze e gli apporti plurali. Dal potere la Costituzione attende un’azione sussidiaria di tessitura e di coordinamento dello sforzo cooperativo che si diffonde su tutta la società; non l’avocazione solitaria in capo all’autorità del bene comune, secondo una logica della delega o della sostituzione.

Eppure è tornata oggi di gran moda la celebrazione della leadership e della personalizzazione del potere. Perfino lo stile muscolare, quasi militare, torna a essere apprezzato (si pensi a come amano atteggiarsi Putin o Trump). La diffidenza verso la mediazione e lo smarrimento verso la complessità favoriscono la «scorciatoia cognitiva» dell’affidamento nel leader, insostenibilmente esposto a un’attenzione mediatica continua e costretto alla parte impossibile e deleteria del decisore solitario e subitaneo. Allora (ai tempi di Cadorna) come oggi però la celebrazione della leadership muscolare si accompagna disinvoltamente alla fuga dalla responsabilità. E così anziché riprendere in mano i propri destini, i cittadini preferiscono veder bruciare, una dietro l’altra, leadership sempre più improbabili e fugaci.

© RIPRODUZIONE RISERVATA