Le banche promosse
Ora serve il reddito

Non avendo una grande cultura cinematografica, mi limito alle gustosissime commedie all’italiana, sprezzantemente definite cinepanettoni. Ma perfino queste offrono lo spunto per una citazione che introduce l’analisi dei risultati degli stress test. Basta parafrasare Riccardo Garrone in «Vacanze di Natale» della premiata ditta Vanzina & c. quando sentenzia accoratamente «anche questo Natale se lo semo levati da...».

I mercati saranno sicuramente rasserenati dalla triplice certificazione di Eba e Bce: le banche europee hanno sufficiente capitale oggi; ne avranno anche alla fine del triennio 2016-18; conserveranno margini di equilibrio anche se nel triennio si verificassero condizioni molto negative nell’economia reale e in quella finanziaria. Con la sola eccezione del Monte dei Paschi di Siena, che ha però già posto le basi del suo rilancio. Speriamo che sia quello definitivo. Archiviata la pratica stress test, dobbiamo affrontare due compiti gravosi: le banche devono occuparsi della ridefinizione del business model, l’Europa deve affrettare il passo col completamento dell’Unione bancaria.

Le verifiche di tenuta del sistema, eminentemente statiche, hanno chiarito che il sistema europeo, e quello italiano in particolare, ha adeguata solidità patrimoniale, cosa importante che consente di resistere agli shock esterni. Ma rimane il problema di ripristinare un equilibrio dinamico, un corretto posizionamento reddituale. In altri termini: gli stress test hanno certificato lo stato patrimoniale, ora bisogna pensare al conto economico, nella consapevolezza che senza redditività permanente nessun livello di patrimonio ti mette al riparo da possibili criticità future.

Oggi i tassi sono a zero, gli spread per il credito fortemente divaricati fra prenditori buoni e meno buoni, le insolvenze del passato continuano a pesare, le strutture operative costano come quando gli spread erano fra i 5 e i 10 punti percentuali. Immettere capitale in aziende così posizionate è come versare acqua nel colabrodo. Va bene il capitale, ma serve anche il reddito. E su questo fronte Eba e soprattutto Bce possono fare molto. La microeconomia delle banche fra 10 anni sarà radicalmente diversa da quella di oggi, e forse anche i principali player non saranno gli stessi. Ma il passaggio non sarà né rapido né semplice. Bisogna cominciare da subito a ricercare nuove aree di ricavi e ad adeguare i costi di produzione al nuovo prodotto e ai nuovi ricavi.

L’altra partita da rilanciare è il percorso verso la vera Unione bancaria europea. Se una nuova visione esce dagli stress test è che l’Italia non è l’ultimo della classe e gli altri maggiori Paesi europei, ovviamente pensiamo a Germania e Francia, hanno qualche problemino in casa. Non cadremo certo nell’ottusità di gioirne, visto che siamo tutti sulla stessa barca, ma un auspicio può venirne: che questo acceleri la definizione della nuovamente vera Unione bancaria. Forse adesso i nostri partner potrebbero essere più inclini a considerare con maggiore realismo alcuni dossier aperti a Bruxelles: l’assicurazione dei depositi, la condivisione finale dei rischi, il ruolo dello Stato nei salvataggi, l’uso del fondo europeo a tutela delle banche, per finire con l’ipotesi di rivedere la ponderazione dei rischi sovrani. Chissà che non troviamo in Austria e Irlanda i nostri nuovi alleati, e chissà che la Merkel non stia pensando che sarebbe prudente creare un precedente post 2011 di ricapitalizzazioni pubbliche o comunque di forme di supporto esterno per le banche in difficoltà.

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