L’affondo di Renzi
L’Europa che non c’è

Che la trattativa con Bruxelles sia ad un punto di svolta lo si è capito perfettamente ieri ascoltando il discorso del presidente del Consiglio in aula alla Camera, in vista del Consiglio europeo della prossima settimana.

Quando Matteo Renzi ha scomodato addirittura il filosofo Jurgen Habermas per condannare «il frenetico immobilismo» dell’Unione si è toccato un altro dei punti alti della polemica che ormai da mesi mette in tensione i rapporti tra il governo di Roma e la Commissione di Jean Claude Juncker. E ora che si sta per chiudere (entro sabato il testo deve essere trasmesso a Bruxelles) la manovra di bilancio 2017, questa polemica non può che accentuarsi: Palazzo Chigi continua a chiedere più flessibilità di quanta fosse stata accordata già a maggio quando la Commissione accettò un 1,8 per cento nel rapporto deficit/Pil in aumento rispetto all’1,4 programmato.

Ma ora quella concessione a Renzi non basta più, con la crescita che stenta e che fa dire a quasi tutti, tranne il governo, che l’obiettivo di aumento del Pil all’1 per cento è sin troppo ottimistico. Dunque bisogna spendere in deficit più di quanto Juncker e Moscovici siano disposti ad accettare: la richiesta è di un 2,4 per cento, più o meno 16 miliardi di euro; la risposta si fissa per ora al 2 per cento, è presumibile che ci si fermi al 2,2, circa tredici miliardi.

Per tirare la corda Renzi suona la carica contro gli «errori dell’Europa» che «questa volta rischia grosso» se «insiste con la linea dell’austerità e non capisce che è ora di imparare dagli americani».

Molti si chiedono se questa linea pubblicamente aggressiva di Renzi sia davvero funzionale al raggiungimento degli obiettivi, e molti ne dubitano fortemente. È pur vero però che dietro l’irruenza del premier – che gioca anche lui come tutti gli altri suoi colleghi una partita anche elettorale e dunque alza la voce perché deve parlare alla sua opinione pubblica – dietro questo, dicevamo, c’è l’attivismo discreto e silenzioso di Pier Carlo Padoan, l’economista stimato in tutti gli ambienti internazionali che costituisce la paratia tecnica che separa le polemiche dagli atti concreti, i toni forti dalle trattative discrete, i titoli dei giornali dalle carte vere. Certo anche Padoan deve affrontare le sue liti, soprattutto quelle che gli si scatenano alle spalle: mentre lui tratta con Moscovici e Diesselbloem, infatti, dietro di lui l’opposizione italiana fa di tutto per dimostrare che il governo italiano sta vendendo tappeti agli ignari partner europei. Il Movimento Cinquestelle e Renato Brunetta di Forza Italia sono i più tenaci in questa opera di delegittimazione del ministro dell’Economia il quale ieri ha risposto per le rime in un raro momento di ira.

Ma torniamo a Renzi. Il presidente del Consiglio, in questa trattativa sulla manovra di Bilancio ma anche guardando oltre, è convinto di poter giocare un ruolo per dare una svolta alla politica dell’Unione: tutti i leader europei sono pressati dai movimenti populisti, tutti i partiti di governo sono messi a rischio da opinioni pubbliche stressate da una lunga crisi economica e dalla paura del terrorismo e dell’immigrazione.

Questo da una parte indebolisce la leadership europea ma dall’altra costituisce una eccezionale occasione per imprimere una svolta e imboccare davvero la strada della crescita economica, dell’aumento dell’occupazione e del benessere, della difesa del sistema di Welfare.

Renzi pensa che in questo frangente l’Italia possa giocare la sua partita: ecco perché indica il vertice europeo di Roma 2017 come un punto di svolta decisivo. A sessant’anni dalla firma dei trattati che si tenne in Campidoglio, il summit di maggio dovrebbe davvero fare la differenza rispetto all’imbarazzante dimostrazione di debolezza e di incertezza emersa a Bratislava nel pieno del trauma Brexit.

È una velleità, quella di Matteo Renzi? Ce lo dirà il tempo e soprattutto ce lo dirà la condizione in cui il governo di centrosinistra italiano arriverà ai prossimi appuntamenti dell’Unione dopo la prova del referendum costituzionale.

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