L’affaire banche
Pasticcio elettorale

Alla vigilia del termine del suo mandato, il presidente della Consob Giuseppe Vegas è stato ascoltato dalla commissione parlamentare che indaga sull’affaire banche. Vegas ha polarizzato l’attenzione quando ha detto che l’allora ministro per le Riforme Maria Elena Boschi gli manifestò la sua «preoccupazione» per la ipotizzata fusione tra Banca Etruria e la Popolare di Vicenza che avrebbe potuto nuocere al business dell’oro tipico della zona dell’Aretino, luogo di nascita, di residenza e di elezione parlamentare della Boschi. Vegas ha precisato che il ministro «non fece pressioni», che del resto lui aveva già precisato che «la fusione tra banche non rientra tra le competenze della Consob» e, in ogni caso, che «ritiene normalissimo» che un parlamentare si occupi della sua costituency, ossia del suo collegio elettorale quale è appunto Arezzo per Maria Elena Boschi.

Queste parole hanno scatenato, come si capisce, un terremoto. Subito sono state ricordate le parole di Ferruccio de Bortoli quando in un libro riferiva di confidenze dell’ex amministratore delegato di Unicredit Ghizzoni sulla Boschi e il suo interessamento per i problemi della banca aretina. E di seguito si è andati a riprendere il discorso che la Boschi tenne di fronte alla Camera, durante il governo Renzi, per replicare ai proponenti di una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Sono soprattutto leghisti, grillini ed ex compagni di partito ora confluiti in un soggetto concorrente del Pd a puntare il dito contro la sottosegretaria di palazzo Chigi: «Che si dimetta subito», è la richiesta. Cui l’interessata e il Pd renziano hanno risposto ribadendo punto per punto la posizione ufficiale («Mai favorito la mia famiglia, mai fatto pressioni, il governo ha commissariato la banca e chi deve pagare pagherà») sfidando gli avversari a dimostrare in quale punto di quel famoso alla Camera sia stata pronunciata una menzogna. E tanto per dimostrare di non avere nulla da perdere, se non la pazienza, la Boschi ha chiesto a Lilli Gruber di essere invitata in trasmissione per incrociare le lame con uno dei suoi più ruvidi accusatori, il giornalista Marco Travaglio.

Ci troviamo in un gigantesco pasticcio, è chiaro. Siamo in campagna elettorale, affrontiamo elezioni quantomai incerte e dobbiamo farlo tra veleni che rendono più fragile un sistema politico già debilitato. Qui è in ballo innanzitutto la gestione delle banche, e questo riguarda per buona parte l’autorità giudiziaria. Si discute della vigilanza sulle banche, e si chiama in causa sia la Banca d’Italia che la Consob. Si mette sulla graticola un partito, il Pd, il suo leader ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, per come affrontarono quella crisi. Un leader che però si considera l’accusatore di chi, a suo giudizio, non vigilò sulle banche, al punto da provare a silurare la conferma del governatore Visco.

E tutto questo intreccio si concentra intorno alle sembianze della più nota esponente del mondo politico renziano, Maria Elena Boschi, che nel corso di quella crisi non solo era ministro, ma aveva un padre vicepresidente di una delle banche commissariate, quella della sua città, e da allora viene inseguita come una preda dagli avversari (politici e non) suoi e di Renzi. Intorno a lei si muove la danza politica di maggioranza e opposizioni che anche su questo piano si giocano la partita del potere presente e futuro. Come se ne uscirà?

Il caso banche, il caso Etruria, il caso Boschi rischiano di diventare il terreno privilegiato della campagna elettorale. Il problema è che, come al solito, lo facciamo nel modo peggiore, quello in cui tutto è strumentale e la ricerca della verità sembra l’ultima delle preoccupazioni. Sarebbe bene che questo polverone si diradasse il prima possibile, ma non facciamoci troppo conto.

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