Violenza sulle donne
piaga senza tempo

La violenza contro le donne, nelle sue molteplici manifestazioni, è purtroppo un fenomeno molto diffuso nel nostro tessuto sociale. Lo testimoniano i numerosi procedimenti penali che si instaurano su denuncia delle vittime. Le donne oggi hanno una maggior consapevolezza dei propri diritti e della tutela offerta da una legislazione sempre più attenta in materia, grazie anche ad una crescente sensibilizzazione a tutti i livelli, che vede diverse iniziative finalizzate a contrastare il fenomeno. La rete di associazioni sul territorio nazionale, che quotidianamente combattono questa piaga, è indubbiamente notevole e favorisce l’emersione del fenomeno con una certa costanza.

Purtroppo però permangono alcune problematiche, oggettive e soggettive, che talvolta portano la donna a non denunciare. Innanzitutto, nell’ambito dei reati di maltrattamenti e violenza sessuale, la vittima manifesta un senso di vergogna nel raccontare il proprio vissuto ed è frenata nell’intraprendere un iter, che porterebbe allo scoperto situazioni che non si sente di affrontare e/o di rivivere.

Nei casi di stalking invece, la paura di ritorsioni da parte del «persecutore» a volte prende il sopravvento e non c’è misura cautelare che tenga, per convincerla ad uscire allo scoperto.

Inoltre va detto che le Forze dell’ordine non sempre offrono una risposta adeguata, sia in occasione delle richieste di intervento, sia quando la donna si presenta per denunciare.

Spesso mi capita di dover procedere personalmente alla redazione della denuncia-querela, in quanto la donna che mi trovo di fronte è stata consigliata di «lasciar perdere», senza peraltro che le sia stata fornita alcuna informazione, per esempio sull’esistenza dei Centri antiviolenza - che si occupano in modo specifico di queste situazioni - e sulla possibilità di essere assistita da un legale con il patrocinio a spese dello Stato, anche solo per il titolo di reato, a prescindere dai limiti di reddito.

Quanto al sistema giudiziario, indubbiamente questi reati vengono «trattati» con un’attenzione particolare da parte dei magistrati e degli organi giudicanti, con risposte anche in tempi mediamente soddisfacenti, ma il problema che a volte si pone è il lasso temporale che intercorre tra i vari gradi di giudizio, nonostante la previsione normativa introdotta dalla legge n. 119 del 2013, che riconosce a questi procedimenti una «corsia preferenziale».

Recentemente si sono intensificati i casi di denunce per condotte persecutorie e non certo perché «lo stalking va di moda».

Sono infatti sempre più frequenti i casi di atti persecutori, commessi dallo «stalker – tipo», vale a dire l’ex fidanzato o compagno, che non accetta la fine della relazione e che tormenta letteralmente la sua vittima.

Purtroppo si tratta di un fenomeno trasversale, che colpisce tutte le età, anche quelle più giovani, attestandosi con maggior frequenza in soggetti di cultura e ceto sociale medio-alti.

Sicuramente gli strumenti legislativi per arginare il fenomeno esistono e sono efficienti, se applicati e utilizzati in concreto, con una interazione maggiore tra tutti i soggetti che in qualche modo ricoprono un ruolo e possono offrire un supporto all’interno del sistema.

Un atteggiamento che ritengo non condivisibile è quello dei giudici civili, che spesso catalogano come «conflittuale» il rapporto tra una donna, che è vittima di violenze e l’ex marito o convivente, che è il suo aggressore, affidando congiuntamente ai due genitori la prole, con la conseguente esposizione della malcapitata alla costante reiterazione di condotte delittuose da parte dell’ex compagno.

La convenzione di Istanbul, caposaldo in materia, è ancora molto lontana dall’essere recepita nel nostro ordinamento, almeno sotto questo profilo.

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