La Terza Repubblica
Rottura col passato

Se il buon giorno si vede dal mattino, dobbiamo aspettarci un tempo burrascoso, irriconoscibile nelle sue dinamiche, imprevedibile nei suoi andamenti, indecifrabile nei suoi esiti. La Terza Repubblica si presenta infatti agli italiani nel nome di una radicale discontinuità rispetto al passato. Lo è sia negli indirizzi istituzionali che propugna sia nelle politiche che persegue. I suoi fautori (5 Stelle e Lega) caldeggiano il superamento della democrazia rappresentativa. Sono favorevoli piuttosto ad una non ben definita democrazia diretta che nelle loro proposizioni si riduce poi al rifiuto di ogni forma di intermediazione politica e nella loro prassi ad un rapporto privilegiato tra popolo e leader, entrambi uniti nella lotta all’ultimo sangue contro le élite.

Non di meno, sul piano politico i dioscuri del populismo rompono col passato. Rifiutano di riconoscersi nella coppia oppositiva destra/sinistra che è servita da schema classificatorio delle forze politiche dall’Ottocento a questa parte. Un cambio di passo così netto ha presentato subito un conto salato ai sostenitori del populismo, come s’è visto in questi novanta giorni di passione vissuti sul fronte della formazione del governo Conte. Sono emersi non pochi seri punti di frizione e di contraddizione. Sia Salvini - bisogna riconoscere con minor insistenza - che soprattutto Di Maio hanno preteso per sé la guida del Paese, pur senza averne i numeri, in forza di una pretesa investitura ricevuta direttamente dal popolo. Alla fine, però, sono dovuti venire a più miti consigli e, attraverso l’escamotage del famoso «contratto», si sono adattati a stringere quell’inciucio tanto deprecato. Volevano un premier votato dal popolo e si sono dati un premier (Giuseppe Conte) men che tecnico: un notaio «esecutore» - parola di Di Maio - del contratto pattuito. Hanno posto l’ultimatum su Paolo Savona, icona degli euroscettici, al posto di ministro dell’Economia e si sono adeguati all’idea di declassarlo a ministro degli Affari europei, sostituito nell’incarico da un altro tecnico, Giovanni Tria, per di più contrario all’uscita dall’euro. Hanno gridato al colpo di Stato aizzando la piazza contro il presidente della Repubblica perché contrario alla nomina di Savona all’Economia e nel giro di quarantotto ore si sono piegati al suo «diktat».

Gli stop and go, le giravolte, i passi indietro cui abbiamo assistito al momento della formazione del governo rendono assai azzardata ogni previsione su capacità operativa, solidità e durata dell’esecutivo appena insediato. Sarà un ministero di legislatura o di transito verso nuove elezioni? Dobbiamo considerare Lega e 5 Stelle fratelli amorevoli o fratelli/coltelli, strettisi in un abbraccio che sa più di presa dell’avversario che non di sincero patto di amicizia? Dobbiamo aspettarci un consolidamento dell’alleanza stretta nel nome di Conte in vista di una prossima confluenza di M5S e Lega nel Partito unico populista o una loro sfida finale all’Ok Corral per strapparsi lo scettro del potere? Il Sud dei 5 Stelle e il Nord della Lega, il reddito di cittadinanza e la flat tax sono compatibili o risulteranno reciprocamente revulsivi? Reggerà il piano di riforme extra deficit promesso o calerà sulla testa di Conte la mannaia della Troika e dei mercati? Molti interrogativi e una sola certezza. Comunque vada a finire, le opposizioni non devono coltivare l’illusione che basti loro aspettare sulla riva del fiume mangiando popcorn per veder passare il cadavere del populismo. Diano un’occhiata all’ultima rilevazione demoscopia dell’Eurobarometro e scopriranno che il 54% degli europei e ben il 60% degli italiani sono scontenti della Ue. Il populismo è lì che si alimenta.

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