La strage di Viareggio
e la negligenza dell’uomo

Giustizia populista? Le dichiarazioni del legale delle Fs e della Rete Ferroviaria Italiana in margine al processo sull’immane disastro di Viareggio hanno suscitato durissime reazioni circa l’opportunità di un’uscita del genere, a commento di una sentenza che ha visto 23 condanne (molte tra dirigenti delle Ferrovie) e 10 assoluzioni. Certo le sentenze si rispettano ma si possono criticare, a maggior ragione se il legale di un imputato la ritiene dal suo punto di vista ingiusta. Ma affermare che c’è un «populismo che trasuda dalla sentenza» ci pare quanto mai azzardato.

Per dirla con le parole del presidente dell’Anac Raffaele Cantone, che è un magistrato, «penso che un giudice possa farsi influenzare in modo ridotto dall’opinione pubblica», poiché in «democrazia non si arriva a una condanna a furor di popolo». Siamo di fronte a un processo durato sette anni, con 110 udienze, impostato da uno sforzo istruttorio imponente da parte della Procura di Lucca. Il numero delle condanne e delle assoluzioni fa pensare a un’analisi capillare e circostanziata delle responsabilità, anche se si tratta di fatti colposi (è importante ricordarlo). Dunque parlare di populismo ci porta lontano e non ci aiuta a comprendere quella tragedia immane.

La notte del 29 giugno 2009 un convoglio con 14 cisterne di Gpl, un gas, come è noto, altamente infiammabile, deragliò appena entrato nello scalo ferroviario di Viareggio. Alcuni carri, tra cui il primo, si ribaltarono e uno di essi venne squarciato da un picchetto della rete ferroviaria. Il Gpl fuoriuscì. Tre minuti dopo esplose l’inferno e il cielo si tinse di arancione. Il bilancio fu di 32 vittime, tra cui anche dei bambini, l’ultima vittima sei mesi dopo, in seguito a ustioni gravissime che provocano dolori atroci.

Tutto questo esige giustizia e verità. Fatta salva la presunzione di innocenza fino all’ultimo grado del processo, c’è un elemento fondamentale che emerge dall’inchiesta: non si trattò di casualità. O quanto meno, il caso è solo uno dei fattori che hanno concorso a una delle tragedie più devastanti della storia d’Italia. I giudici parlano di «negligenze inescusabili» e di responsabilità molteplici. Sul banco dei condannati c’è la Rete ferroviaria italiana, le Ferrovie, la ditta tedesca proprietaria delle cisterne, l’officina di revisione del carro. E dietro tutto questo c’è un concorso di uomini negligenti. Quello che è sotto accusa, più che una singola persona, è un sistema, quello legato alla rete ferroviaria italiana, fatto di tante piccole negligenze che hanno portato al disastro. È su questo che dovremmo ragionare per impedire che altre tragedie si ripetano.

Se vogliamo che questa sentenza abbia un senso, al di là delle legittime esigenze di giustizia che dobbiamo ai familiari delle vittime, dobbiamo interrogarci sul rischio in Italia che corrono i vagoni che trasportano merci pericolose, sulle modalità di entrata dei convogli nelle stazioni situate nei centri urbani, sulla velocità dei treni in concomitanza degli scali. Ci sono abbastanza norme? Sono state applicate? E i manager pubblici preposti al trasporto su ferrovia, quante energie dedicano al tema della prevenzione e della sicurezza? Le condanne riaprono una ferita tutta italiana sui livelli di sicurezza di un sistema complesso come la rete ferroviaria italiana. Il concetto non è molto diverso dalla strage di quest’estate sul binario unico di Andria: l’Italia continua a dimostrare una sorta di «sciatteria» nella sicurezza che provoca stragi tanto immani quanto assurde, uniche in Europa e forse nel mondo.

Vi è poi la questione delle dimissioni dell’allora presidente della Rfi Mario Moretti. Non serve, in una vicenda come questa, un capro espiatorio. Ma forse farsi da parte, al di là delle risultanze processuali e della condanna in primo grado, sarebbe il segnale morale di una presa di responsabilità, il gesto che sollecita una svolta sul piano della prevenzione e della sicurezza. Non si è sempre detto che l’esempio deve venire dall’alto? Comunque tra poco scatterà la prescrizione, e forse non ne parleremo più, consegnando Viareggio alla cronistoria degli incidenti più gravi della storia d’Italia.

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