La speranza a dura prova: la tregua fallita e l’orizzonte si fa cupo

I corridoi umanitari, che parevano l’unico risultato concreto del secondo round di trattative tra le delegazioni di Russia e Ucraina, si sono tramutati in un’occasione di inasprimento dello scontro, che è militare e informativo insieme. L’operazione di mettere in salvo i civili facendoli uscire dalle città assediate, soprattutto Mariupol’ e Volnovakha, è fallita. Pochissimi sono riusciti ad allontanarsi, e per farlo hanno dovuto sfidare il fuoco incrociato.

Com’è ovvio, sia i russi sia gli ucraini hanno accusato il nemico: le truppe di Mosca avrebbero sparato sui civili, i nazionalisti più accesi avrebbero impedito ai civili di lasciare le città per continuare a farsene scudo. Nell’impossibilità di verificare le due versioni, non resta che verificare con dolore l’ulteriore incrudimento dello scontro. È chiaro che quando le città saranno sgombre dei civili, le truppe russe potranno scatenare per intero la loro potenza di fuoco, ora a stento trattenuta dall’esigenza «politica» di non aggravare il già tragico bilancio umano di una guerra che ha destato lo sdegno del mondo. Chi scrive è stato diverse volte, a suo tempo, ad Aleppo, nei quartieri che i jihadisti provarono a tenere dopo l’ultimatum russo. E ha visto quali tremendi risultati possano ottenere i bombardamenti su quartieri affollati di palazzi.

Russi e ucraini si incontreranno ancora domani. Potrebbe essere un passaggio decisivo. Quello dei corridoi umanitari sembrava un piccolo importante passo, se non altro un appoggio per far salire di livello la trattativa. Ma se la giornata di oggi dovesse proseguire sulla falsariga di quella di ieri, di che cosa potrebbero parlare le due delegazioni? Come fare il secondo passo se il primo è fallito? Qual è il terreno minimo su cui incontrarsi? Anche perché da Kiev arrivano notizie che paiono secondarie rispetto ai lutti e alle distruzioni della guerra ma che pesano come macigni. Denys Kireev, un finanziere, uno dei membri della delegazione ucraina nel primo incontro con quella russa, è stato ucciso durante un’operazione dell’Sbu, i servizi segreti ucraini. Kireev, stando alle notizie arrivate da Kiev, era accusato di tradimento, di essere cioè una spia dei russi.

L’Sbu è diretto da Ivan Bakanov, un fedelissimo del presidente Zelensky. I due sono cresciuti insieme a Kryvyij Rih, sono andati a scuola insieme. E Bakanov, a suo tempo, è stato anche direttore di Kvartal95, la società di produzione televisiva fondata da Zelensky. Bisogna quindi chiedersi: l’arresto-esecuzione di Kireev è un’iniziativa autonoma di Bakanov? O era concordata con il presidente? Segnala crepe pericolose all’interno del vertice ucraino oppure solo l’eliminazione di una spia colta sul fatto?

Ora nessuno lo ricorda più, ma prima della guerra Zelensky aveva fatto incriminare per tradimento l’oligarca Viktor Medvedchuk, un filorusso che però era anche il leader del primo partito di opposizione. Poi aveva denunciato un tentativo di colpo di Stato in cui avrebbe avuto una qualche parte anche Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco d’Ucraina, anche lui sospettato di tradimento. E per tradimento era finito sotto processo anche Petro Poroshenko, predecessore di Zelensky alla presidenza, un ultranazionalista insospettabile di intese con i russi. Adesso Kireev. Troppi traditori, o presunti tali, in un Paese che viene (e veniva) descritto assolutamente coeso di fronte all’orso russo.

Un occhio attento su Kiev, quindi, e sugli eventuali sviluppi di questa storia oscura bisognerà tenerlo. Tenendo comunque presente che, ora, la priorità è garantire la salvezza al maggior numero possibile di civili inermi e innocenti. Vladimir Putin non vuole fermarsi, anzi: alza il livello del confronto con le decine di Paesi che sanzionano la Russia per l’invasione dell’Ucraina. E gli ucraini non hanno intenzione di cedere, soprattutto ora che la battaglia coinvolge i reggimenti formati dagli elementi della destra incline a un nazionalismo fascistoide.

L’Europa manda armi e accoglie profughi, ma quando si tratta di combattere e morire gli ucraini restano soli. La Russia degli affari e delle relazioni internazionali critica l’avventura putiniana ma non sembra incrinare la compattezza degli apparati dello Stato. L’Onu non conta e gli Usa sembrano, ora, lontanissimi. È il giorno, ammettiamolo, della disperazione.

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