L'Editoriale
Lunedì 28 Febbraio 2022
La speranza che dai contatti si passi alla trattativa e lo spettro della «spallata»
La quarta sera dell’invasione russa ha portato uno spiraglio. Con la mediazione, che si sarebbe detta improbabile, del presidente bielorusso Lukashenko, una delegazione ucraina e una russa dovrebbero incontrarsi per riprendere i contatti. La speranza di tutti, ovviamente, è che i contatti si trasformino in trattativa, anche perché cresce la sensazione che, una volta calato a terra il polverone delle false notizie e della propaganda, scopriremo sul serio l’atroce realtà della guerra. L’incontro dovrebbe svolgersi al confine tra Ucraina e Bielorussia, nella località di Aleksandrovka-Vilcha, lungo il fiume Pripiat’, quello che scorre tra l’altro nei pressi della centrale atomica di Chernobyl.
E non nasce sotto i migliori auspici. Prima, mentre cadevano le bombe, c’è stato un tira e molla sul luogo: la Russia proponeva provocatoriamente Minsk (capitale della Bielorussia filorussa), l’Ucraina ribatteva provocatoriamente con Varsavia (capitale dell’antirussa Polonia), poi via via Istanbul, Baku e altre capitali.
Una volta scelto il posto, il presidente ucraino Zelensky ha detto: «Non ci credo molto ma lasciamoli provare, vediamo se c’è una piccola speranza». Si può capirlo. Il suo Paese ha retto all’urto delle forze russe, ora Usa ed Europa corrono ad armarlo (persino Germania e Svezia hanno violato un proprio storico tabù per rifornire gli ucraini) e a punire la Russia con ogni sorta di sanzione. Il tempo comincia a essere un alleato di Zelensky.
La Russia, per parte sua, occupa una parte dell’Ucraina, circonda Kiev e non ha ancora scatenato per intero la sua capacità di fuoco. Ha fretta ma non troppo, e lo dimostra il livello relativamente modesto della delegazione, priva di esponenti di rilievo degli Esteri e della Difesa e presieduta da Vladimir Medinskij, già ministro della Cultura, uno dei consiglieri del Presidente, un peso leggero nella politica russa.
Speriamo che prevalga la ragione. Ma il paradosso, davvero tragico, è che solo pochi giorni fa i termini della questione sarebbero stati molto chiari: la neutralità dell’Ucraina rispetto alla Nato, il rispetto da parte della Russia dell’autonomia e della sicurezza dell’Ucraina. Un problema intricato però risolvibile.
Ma adesso? Vladimir Putin ha sacrificato molte vite, russe e ucraine, e si è attirato sul capo le ire morali e pratiche dell’intero Occidente, che graveranno sui suoi compatrioti. Non può firmare un accordo che, come minimo per lui, non contempli l’allargamento del Donbass almeno alla città industriale di Khar’kiv e al porto di Mariupol’, oltre ovviamente ad ottenere la neutralità dell’Ucraina.
Se respinto, dovrebbe/potrebbe puntare sulla soluzione militare. Ma Zelensky, in questo momento, ha l’appoggio totale del suo popolo e di decine di altri Paesi, se decidesse di resistere alle richieste russe nessuno lo riterrebbe colpevole di alcunché. E, come si diceva, potrebbe ancora scommettere sul fattore tempo, che lo vede oggi meno debole di ieri.
Aleggia su tutti i protagonisti uno spettro: che un eventuale stallo delle trattative possa spingere la Russia a cercare la spallata per convincere il nemico a trattare al ribasso. Con ogni probabilità toccherebbe a Kiev, oggi circondata, bombardata, minacciata ma non ancora penetrata e nemmeno investita da un fuoco pienamente distruttivo. Un’altra ragione per sperare che dall’incontro si passi alla trattativa.
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