La sorpresa
del Papa pastore

C’è un qualcosa di straordinario nell’ordinarietà con cui Papa Francesco ha impostato la sua visita di ieri nelle zone terremotate. È arrivato a bordo della sua Golf scura, sedendo a fianco del guidatore, senza scorta e senza che nessun media fosse stato avvertito. È arrivato come aveva promesso per incontrare «da sacerdote, da vescovo di Roma, da Papa» chi ha visto la propria vita travolta dal sisma. È arrivato da pastore in mezzo al suo gregge per far sentire la propria vicinanza.

Aveva avvertito tutti che sarebbe stata una visita a riflettori spenti, ma nessuno s’aspettava che potesse avvenire all’indomani del viaggio in Georgia e Azerbaijan: per un uomo di 78 anni era prevedibile un momento di pausa per riprendere energia. Invece Francesco ha capito che per impostare il viaggio come lui desiderava quello di ieri era il giorno giusto, perché il giorno più inaspettato.

Non era stato preparato niente, al punto che dopo la visita alla scuola nelle strutture prefabbricate (dove si è presentato alle 9,15!) Francesco, per prendere la parola come tutti chiedevano, ha dovuto parlare dal microfono di un’auto della protezione civile: «Ho sentito di dover venire qui fin dal primo momento, sono qui per starvi vicino. Coraggio andiamo avanti», ha detto. «Ho pensato bene nei primi giorni di questi tanti dolori che la mia visita, forse, era più un ingombro che un aiuto, che un saluto, e non volevo dare fastidio, per questo ho lasciato passare un pochettino di tempo affinché si sistemassero alcune cose, come la scuola. Ma dal primo momento ho sentito che dovevo venire da voi! Semplicemente per dire che vi sono vicino, che vi sono vicino, niente di più, e che prego, prego per voi! Vicinanza e preghiera, questa è la mia offerta a voi».

«Non volevo creare disturbo»: una battuta che certamente verrà ricordata a lungo. Mai si era sentito un potente (perché il Papa fa pur sempre parte dei «grandi» del mondo) fare un’affermazione del genere. Affermazione di realistico buon senso, ma che soprattutto svuota la retorica, tutta mediatica, del farsi vedere in prima fila, del presenzialismo nei contesti di emergenza. A Francesco invece l’unica cosa che premeva era di poter far sentire la propria vicinanza, di parlare con le persone, di raccogliere le loro voci e le loro preghiere. Ad Amatrice ha parlato con maestre e bambini, ma dietro di loro le porte si erano chiuse e nessuna telecamera ha fatto in tempo ad entrare. A Rieti si è fermato a lungo con i 60 anziani sfollati e accolti in una Rsa e ha pranzato con loro. Ma c’è di più: il Papa in questa sua breve presenza non ha solo consolato, ha voluto soprattutto far capire che in situazioni difficili come queste bisogna investire su una grande valore, quello dell’essere «comunità». «Andiamo avanti, c’è sempre un futuro», ha detto in uno dei suoi brevi interventi. «Ci sono tanti cari che ci hanno lasciato, che sono caduti qui, sotto le macerie. Preghiamo la Madonna per loro, lo facciamo tutti insieme. Guardare sempre avanti. Avanti, coraggio, e aiutarsi gli uni gli altri. Si cammina meglio insieme, da soli non si va».

È un approccio che ricorda in modo sorprendente quello che ebbe Paolo VI in occasione del tragico terremoto del Friuli del 1975: «Il primo bene è la solidarietà», aveva detto allora in un suo messaggio Montini; «il dolore si fa comunitario, e nel nostro abituale disinteresse, e nelle nostre contese egoiste ci fa sperimentare uno sconosciuto amore. Ci sentiamo fratelli, diventiamo cristiani, comprendiamo gli altri, esprimiamo finalmente l’amore disinteressato, solidale e sociale. E poi impariamo a “vincere il male nel bene”, cioè a far scaturire energie positive di bene dalla stessa sventura che ci affligge».

Francesco come Paolo VI (quante sono le somiglianze tra questi due Papi!) è mosso da un istinto molto concreto e ostinatamente positivo. Davanti ad una tragedia «cieca» come il terremoto, richiama tutti a far tesoro della più grande energia che sia data agli uomini: quella dell’essere ognuno «socius» dell’altro, di aver fiducia nelle relazioni che le difficoltà rendono più vere e più forti. Il suo essere presente ha voluto soprattutto ribadire questo, sottolineando con la sua presenza come anche il Papa sia parte di questo «essere comunità».

Il suo essere stato vicino non ha avuto solo una funzione consolatoria. È stato un mettersi in rapporto, un invito a costruire prima ancora dei muri, un nuovo «mettersi insieme». La miglior sintesi è quel che una donna salutandolo gli ha detto: «Grazie della forza che ci dai».

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