L'Editoriale
Venerdì 30 Settembre 2016
La Siria e il Papa
coscienza e giustizia
Il Papa mercoledì ha ricordato la tragedia della Siria. Violenza, morte, provocate da interessi politici e economici, che niente hanno a che fare con il bene del popolo siriano e anche del popolo curdo. Non sono esperto di politica internazionale, però non riesco a comprendere quale vantaggio umano possa portare questa guerra. Del vantaggio dovrebbero parlarcene la Russia, gli Usa e la Turchia, forse anche qualche altro Stato che si tiene in seconda linea. Ma quale vantaggio può venire dalla violenza e dalla morte inflitta? Credo nessuno, anzi, avremo molto da pagare storicamente per quello che in Siria si compie sotto gli sguardi disinteressati di tutti.
Detto questo vorrei tornare su un termine che il Papa ha usato mercoledì: la coscienza. Oggi questo termine è abbastanza imbarazzante, perché nel lessico quotidiano significa in sostanza quello che uno pensa come interessante per sé, per la propria vita. In realtà questo termine designa una situazione fondamentale dell’uomo, grazie alla quale non riesce a far coincidere il senso di quello che compie con ciò che lui, l’uomo, produce come significato. Come dire, quando io affermo che è ingiusto che due persone si aggrediscono per strada, il motivo per il quale faccio quella affermazione non è riducibile a quello che io penso e sento. Dico che la violenza è ingiusta perché altrimenti non sarei me stesso e, nello stesso tempo, non lo dico solo a partire da me stesso, ma facendo riferimento ad altro, a ciò che normalmente viene chiamato valore. Il paradosso dell’umanità, di ogni singola persona, è proprio quello per il quale un valore diviene tale grazie al riconoscimento pratico di ognuno di noi. Questo non vuol dire che il valore è tale perché noi lo riconosciamo, ma che non diviene effettivo e efficace senza il nostro riconoscimento libero.
Il dramma della cultura contemporanea sta proprio nell’aver dimenticato che la nostra risposta ai valori non produce i valori, ma li riconosce come ciò che rendono possibile la nostra risposta. Non sono io che decide se sia giusto uccidere un uomo, ma sono io che, nell’atto della sua uccisione, sono chiamato a rispondere alla giustizia. Però la giustizia mi anticipa, mi aiuta a essere uomo, ed è proprio per questo che la riconosco come fondamentale per la mia vita. Non è giusto ciò che voglio sia giusto, ma ciò che mi consente di stare insieme agli altri, uomini e donne, come esistenze che sono capaci di riconoscere come giusto. M. Heidegger diceva che la coscienza è una chiamata. Appunto, una chiamata silenziosa che scopre se stessa e la propria capacità o incapacità nel momento in cui risponde. Fa bene il Papa a richiamare gli uomini alla coscienza. Alla fine il silenzio della chiamata che caratterizza l’essere umano è un mistero di cui tutti facciamo esperienza. La coscienza è l’ultima voce che ci rende uomini e donne capaci di verità e giustizia. Se anche quella voce viene soffocata dall’indifferenza e dall’interesse, allora siamo arrivati all’esperienza del sub-umano, dopo la quale tutto è possibile.
Sono mesi che assistiamo a massacri in Siria e in altre parti del mondo. Una decina di anni fa in Italia giovani e meno giovani si sarebbero radunati in piazza per manifestare il proprio dolore e il proprio disappunto. Oggi c’è solo il silenzio, che non è il silenzio della coscienza, ma il silenzio dell’ultima scintilla di umanità che ancora cerca di far luce al fondo di noi stessi. Ma se perdiamo noi stessi, la nostra capacità di giustizia, la voce che silenziosamente ci fa rinascere alla coscienza, che cosa ci rimarrà? Dovremo sperare in Dio. Sperare che almeno Lui faccia sentire la sua voce e ci domandi quello che ha chiesto a Adamo: «Dove sei?». Appunto, dove siamo? Forse anche noi dovremo presentarci a Dio coprendo la nostra nudità, per non far vedere la nostra indifferenza e la nostra accondiscendenza colpevole a tutto quello che in molte parti del mondo sta accadendo. Dove sei? Noi certamente non siamo dove vengono massacrate persone inermi. Siamo qui a difendere la nostra misera fetta di vita, la nostra dose nella ciotola quotidiana. Ma per quella ciotola abbiamo perso la voce della coscienza che ci chiama a essere uomini e donne, degni e liberi.
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