L'Editoriale / Bergamo Città
Giovedì 25 Febbraio 2016
La paura fa scrivere
leggi cattive
Va letta la legge regionale lombarda per i nuovi luoghi di culto, bocciata martedì dalla Corte Costituzionale che ha accolto il ricorso del governo. Va letta per comprendere il senso di una norma scritta con l’intento non dichiarato ma implicito di complicare e quindi ostacolare la creazione di edifici religiosi.
C’è anche un passaggio pittoresco, là dove si chiede «la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo». Il paesaggio lombardo è concetto impalpabile, di difficile definizione univoca. È paesaggio lombardo anche l’assembramento disordinato di capannoni industriali e palazzi senza stile, obbrobri urbanistici che deturpano aree del nostro caro territorio?
La legge poi nelle premesse precisa l’applicazione alle confessioni religiose che hanno sottoscritto un’intesa con lo Stato (sono undici in totale) ma anche a quelle che non hanno un accordo però una «presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale». Quindi l’islam. Da qui la definizione mediatica di norma anti-moschee. La quale prevede poi una serie di altre imposizioni: «la presenza di strade di collegamento adeguatamente dimensionate o, se assenti o inadeguate, ne prevede l’esecuzione o l’adeguamento con onere a carico dei richiedenti», «uno spazio da destinare a parcheggio pubblico in misura non inferiore al 200% della superficie lorda di pavimento dell’edificio da destinare a luogo di culto», la presenza di telecamere esterne collegate con la questura, l’obbligo per i Comuni di procedere alle valutazioni ambientali strategiche. Ed erano stati proprio i Comuni, attraverso l’Anci, a rimarcare come la legge complicasse ulteriormente l’attività degli enti locali anche su questa materia.
Una norma del resto ad alto tasso ideologico, scritta strizzando l’occhio alle paure dell’opinione pubblica. Non a caso dà facoltà agli stessi Comuni di indire referendum e richiede «i pareri di organizzazioni e comitati di cittadini» ma anche di «esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica». Quest’ultimo passaggio paventa una sorta di militarizzazione dei luoghi di culto. Al di là dei caratteri di incostituzionalità in violazione al principio della libertà religiosa (le motivazioni della sentenza della Consulta nello specifico saranno pubblicizzate nelle prossime settimane) già rilevati dalle comunità di diverse fedi e dagli uffici legali della Regione, va rilevato un limite d’impostazione politica: il nodo è l’attività che si svolge negli edifici, non vietarne la costruzione. È ipocrisia lasciare invece che i luoghi di preghiera dei fedeli musulmani proliferino in spazi ignoti, inidonei e non a norma: ciò non giova alla trasparenza necessaria per liberare il campo anche da possibili ambiguità dottrinali.
La giunta lombarda ora procederà con una nuova legge, sulla base dei rilievi della Corte, ma ribadendo l’obiettivo «di tutelare i propri cittadini». Andrebbe chiarito da chi e da che cosa, anche per tarare le politiche conseguenti e non cadere in nuovi pasticci. È davvero la clava dell’urbanistica lo strumento idoneo per definire patti di convivenza con le comunità islamiche? Intanto il centrosinistra in Regione incassa il punto, ma dovrebbe ora lavorare sul governo nazionale perché definisca una quadro di certezze sul tema. Siamo tra i pochi Paesi dell’Unione europea a non avere una legge che normi la libertà religiosa, con effetti negativi sui territori. Per quanto riguarda l’islam, non solo nell’ambito dell’edilizia ma anche della definizione dello status di chi rappresenta le comunità. Emergono infatti tipologie associative poco trasparenti, come certifica la bega scoppiata a suon di minacce e denunce all’interno della comunità di via Cenisio a Bergamo. Per la politica insomma è tempo di uscire allo scoperto e di alzare lo sguardo. Consapevole che la via di negare i diritti è a fondo chiuso: poi è più difficile esigere i doveri.
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