L'Editoriale
Giovedì 03 Novembre 2016
La partita del voto
sondaggi alla mano
Fermi tutti, abbiamo scherzato. Il referendum resta confermato per il 4 dicembre. E vada come vada. Ma c’è stato davvero un tentativo serio di rinviarlo alla primavera? Tutto è cominciato nei giorni scorsi quando un anziano ex deputato del Ppi, Pierluigi Castagnetti, sulla sua pagina Facebook ha proposto di rinviare il voto di qualche mese per via dell’emergenza terremoto. Il suo ragionamento non faceva una grinza: tra Marche e Umbria ci sono decine di paesi che non sono in grado né di allestire i seggi - perché le strutture pubbliche sono perlopiù inagibili o addirittura crollate – né di garantire una normale campagna referendaria prima del voto.
L’ineccepibilità dell’argomentazione tuttavia non poteva nascondere il fatto che Castagnetti è un vecchi amico di Sergio Mattarella e molti, a torto o a ragione, hanno considerato la sua proposta come una sorta di segnale lanciato indirettamente dal Quirinale alle forze politiche: se volete un rinvio, il Capo dello Stato non vi ostacolerà. Vero, falso? Chissà. Con Mattarella il Colle è diventato assai più impenetrabile che in passato ed è difficile capire come davvero il Capo dello Stato la pensi. Unico segnale percepibile: qualche giorno fa al Quirinale è stato ricevuto Silvio Berlusconi che è uscito dal colloquio entusiasta del personaggio (che non votò alla presidenza, anche per via di vecchie ruggini, e la cui elezione è stata la causa della rottura del Patto del Nazareno).
Dopo Castagnetti è arrivato Angelino Alfano: «Noi non vogliamo rinviare il referendum - ha detto - ma se le opposizioni ce lo chiedessero, prenderemmo l’ipotesi in altissima considerazione». Che è un modo un po’ tortuoso per dire che il rinvio gli farebbe piacere e molto. Alla parola di Alfano, però, è scattata l’opposizione che non solo non chiede di rinviare il voto ma rinfaccia al governo di averne paura. A quel punto Palazzo Chigi ha chiuso la discussione: ipotesi che non sta né in cielo né in terra, si vota il 4 dicembre punto e basta.
Ma che vuol dire questa tarantella? Vuol dire una cosa semplice: che a distanza di un mese esatto dal referendum, i sondaggi non sono buoni per il fronte del sì, e forse un rinvio potrebbe aiutarlo. Ma per quale strana ragione le opposizioni dovrebbero aiutare Renzi concedendo più tempo alla sua propaganda? Se per loro si profila la vittoria, a che pro gettarla via? Infatti i falchi del no sono scattati come un solo uomo, portabandiera Renato Brunetta: «Si voti alla data stabilita!» ha tuonato. Forse ci si aspettava un qualche segnale morbido da parte di Berlusconi, chissà. Il punto sta in cosa succederà dopo il referendum. Se vincesse il sì non si porrebbe alcun problema: Renzi tornerebbe fortissimo e, in un quadro di stabilità garantita all’Europa e ai mercati, probabilmente cercherebbe di andare al voto anticipato in primavera (ma deve essere d’accordo Mattarella a sciogliere le Camere che lo hanno eletto presidente) in maniera tale di conquistare la larga maggioranza che l’Italicum gli consegnerebbe riducendo ai minimi termini il potere di veto della sua minoranza interna (addio candidatura per un bel po’ di bersaniani e dalemiani) e zittendo le opposizioni.
Già, tutto questo è facilmente prevedibile. Ma se vince il no? Se vince il no tutto diventa molto più complicato. Anche perché il gruppone che contrasta le riforme in funzione anti-Renzi, non potrebbe mai fare una maggioranza alternativa (Berlusconi più Grillo più D’Alema più Salvini? Non scherziamo) e dovrebbe puntare a nuove elezioni al più presto con una diversa legge elettorale in modo tale da dare a Renzi il colpo finale. Il governo rimarrebbe in carica quel tanto che basta per cambiare l’Italicum e poi via alle urne. Brunetta lo dice esplicitamente, ma è sicuro che Berlusconi sia d’accordo? A meno che non si trovi un accordo per fare una nuova legge elettorale ammazza-Grillo. Ecco, questa potrebbe essere la base di un accordo che farebbe riemergere la vecchia amicizia di Matteo e Silvio.
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