La moschea di Bergamo
I fondi e le amnesie

Da una decina d’anni la politica a Bergamo discute sulla proposta avanzata dal centro islamico di via Cenisio di realizzare a proprie spese un nuovo luogo di culto in città. Il dibattito si è acceso sui no e i sì alla richiesta e sul luogo dove dovrebbe sorgere l’edificio. Nessuno si è posto la domanda sui finanziamenti necessari: il fatto che quella comunità islamica possa realizzare l’opera a proprie spese, è sempre stato considerato come acquisito e rassicurante. Almeno quello.

Ora si scopre che i fondi arrivano dalla Qatar charity foundation, una potenza finanziaria globale oggetto di polemiche all’estero per i legami con i Fratelli musulmani (organizzazione politica e sociale messa al bando in Egitto, Paese alleato dell’Italia), per interventi in Mali e per avere fatto parte dell’«Unione del Bene», coalizione di organizzazioni caritative islamiche che fra l’altro sostiene Hamas. La Qatar charity foundation, che ha la sede europea in Inghilterra, ha nel suo core business anche il finanziamento di luoghi di culto nel vecchio continente. È già avvenuto in Sicilia e a Ravenna. La fondazione ora ha investito 25 milioni per realizzare 33 nuovi centri islamici, uno a Bergamo. Tutto nella legalità: l’Italia infatti non vieta la costruzione di centri islamici con fondi dall’estero. In senso opposto si è mossa ad esempio l’Austria: recentemente ha approvato una legge contro i finanziamenti da altri Stati (arrivano soprattutto dalla Turchia) che prevede anche l’obbligo dei sermoni in tedesco. La nuova norma è stata bollata dalle opposizioni come anti-islam. Alla critica ha replicato il ministro dell’Integrazione Sebastian Kurz, con argomentazioni interessanti: «Vogliamo ridurre l’influenza politica e il controllo dall’esterno e dare invece all’islam la possibilità di svilupparsi liberamente all’interno della nostra società». Il punto è proprio l’influenza politica che i finanziatori vogliono poi legittimamente esercitare negli ambienti che hanno contribuito a edificare. In Austria come a Bergamo.

Il Qatar non è un Paese qualsiasi. Con l’Arabia Saudita è portabandiera del wahabismo, la declinazione più settaria dell’islam, ed è stata in primo piano nella destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa, con finanziamenti privati all’ampio fronte dei gruppi jihadisti. Lo shopping qatariota in Italia è esteso. Attraverso una holding legata alla casa reale, la petromonarchia è diventata recentemente socio di maggioranza della società che ha acquisito Porta Nuova a Milano. A proposito di questo passaggio, Stefano Boeri, l’architetto che ha disegnato il Bosco verticale del quartiere, aveva detto: «Si tratta di un investimento di un governo straniero (il Qatar, ndr), questo implica riflessioni geopolitiche importanti. È un peccato che oggi in Europa non ci sia questa riflessione su investimenti certamente necessari, ma che avrebbero bisogno di clausole di trasparenza».

La trasparenza è tanto più necessaria, di questi tempi, nei luoghi di culto per evitare il rischio di pericolose ambiguità. Questo richiamo non vuole essere una messa in discussione strumentalizzabile politicamente riguardo alla necessità di centri islamici dignitosi e adeguati alle necessità dei fedeli. Il capannone di via Cenisio da tempo non ha più questi requisiti. E la legge regionale che vieta la costruzione di nuovi edifici di culto, implicitamente avalla lo status quo: la presenza di centri islamici fai da te, in luoghi inidonei e preclusi alla trasparenza. È tempo di rinunciare ad approcci sul tema ingenui o ideologici. Servono realismo, conoscenza e occhi vigili.

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