L'Editoriale
Martedì 22 Novembre 2016
La misericordia
di fronte ai peccati
Le parole di Francesco non potevano essere più esplicite: «Non c’è legge né precetto che possa impedire a Dio di riabbracciare il figlio che torna a lui riconoscendo di aver sbagliato».La logica che ha guidato il Papa nella stesura della Lettera Apostolica «Misericordia et misera» è quella del figliol prodigo, logica della centesima pecora, logica del Vangelo, logica di Gesù. È diversa da quella dei dottori della legge, che nel racconto evangelico non se la passano bene.
Eppure la Chiesa nel corso della sua storia da quella logica spesso ha deragliato mettendo l’accento sulle regole, sul rigorismo della disciplina, ferma nel giudizio verso le persone in difficoltà, attestata su posizioni di sicurezza rigide a tal punto da far assumere al Vangelo la forma di una legge che non perdona. È accaduto spesso che per il timore di essere accusati di poca serietà, perfino di buonismo, se non addirittura di lassismo, si sia dimenticata la misericordia. Francesco nella Lettera apostolica rimette molte cose al suo posto e spiega che un atteggiamento di misericordia permette alla gente di capire meglio e con maggior profondità il significato non solo del sacramento della confessione, ma anche di un percorso di riconciliazione di solito impegnativo. La decisione di concedere a tutti i sacerdoti e non solo quelli espressamente delegati dal vescovo, come accade finora, la facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto è quella che più farà discutere i conservatori e i detrattori di Papa Francesco, ma è anche quella che più chiaramente esprime il legame stretto tra misericordia e perdono.
Non è vero, come ieri molti hanno riassunto, che il Papa dice ai sacerdoti «assolvete il peccato di aborto». Non è una sorta di perdono semplificato, accordato a tutti. Semplicemente il Papa rimette nelle mani di tutti i preti il ruolo di guida, di sostegno, di conforto, cioè di sollecitudine pastorale che deve essere normale e non speciale accordato solo a qualcuno. Qualcuno dirà che Francesco ha trovato un espediente per forzare la dottrina e guadagnare spazio alla pastorale, oppure che così la gravità del peccato viene disinnescata nella sua comprensione, o addirittura che si riduce la verità per avere più libertà. Aspettiamoci le critiche anche da parte ecclesiastica. Ieri monsignor Rino Fisichella ha spiegato che nulla può essere ricondotto al lassismo, di ciò che è scritto nella Lettera apostolica. Il Papa ribadisce la gravità del peccato e riafferma al tempo stesso, «con altrettanta forza» che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non può «raggiungere e distruggere». Anzi scrive «posso e devo affermare». Qui, come nella facoltà concessa ai sacerdoti lefebvriani di dare l’assoluzione a quei fedeli che frequentano le chiese della Fraternità Pio X, il Papa mette in campo la sua autorità con autorevolezza. Ciò che lo preoccupa e sul quale non intende fare sconti è quella che una volta si chiamava «salus animarum», che secondo l’antica lingua del diritto è «suprema lex». Per questo la Chiesa è franca nell’ammonire quanto pronta a guarire, cioè a riconciliare con Dio l’uomo che lo chiede.
La Chiesa non può limitarsi a spiegare la legge e a fare l’elenco dei perfetti o dei quasi perfetti. La Chiesa spiega come si forma e cosa chiede la legge di Dio, che è la logica del Vangelo, quella della centesima pecora, quella del buon pastore che se ne va di notte a cercarla, impresa a cui sono destinati tutti i sacerdoti e per la quale verrà corretto il Codice di diritto canonico. Ma non ci sono solo aborto e lefebvriani nel testo della Lettera apostolica. C’è la Bibbia, per esempio. Tutti hanno in casa una Bibbia. Ma quanti sono quelli che la tengono a riposare su uno scaffale della libreria? La Bibbia invece esiste solo quando la si apre, altrimenti non serve. Bergoglio è preoccupato del fatto che i cristiani la leggano poco. Non dice alle parrocchie ai preti e ai vescovi di diffondere le «lectio divine», che è cosa buona, ma coinvolgono alla fine poche persone. Chiede una domenica da dedicare alla Bibbia, scelta di alto valore simbolico per rimettere al centro la Parola di Dio, perché lì dentro si trovano, ad esempio, le ragioni per cui bisogna accogliere i profughi, contrastare l’economia che uccide, servire e abbracciare, ascoltare, perdonare, sopportare, amare e lavorare per cambiare la storia. Se uno legge la Bibbia e magari ci prega sopra poi riesce meglio a fare gesti e organizzare opere di carità.
Infine la Giornata mondiale dei poveri. È un’idea che Bergoglio ha in testa da tempo e lo ha detto nell’intervista a Tv2000. Una giornata è un simbolo, ma serve per ricordare almeno per un giorno. Vale lo stesso ragionamento che si fa per la Bibbia. Il Papa è preoccupato del fatto che il cristianesimo venga inteso solo come una dottrina o una ideologia, cioè tutti sanno le cose, ma nessuno le mette in pratiche. Dedicare una giornata ai poveri serve ai ricchi per comprendere che la misericordia è anche un valore sociale e una cultura della misericordia deve tradursi in opere politiche di inclusione.
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