La minaccia coreana
e l’inerzia dei grandi

C’è un contrasto stridente tra il volto pacioso di Kim Jong-un, leader supremo della Corea del Nord e, con i suoi 33 anni, capo di Stato più giovane del mondo, e l’idea che possa essere il suo dito a premere il bottone del prossimo attacco nucleare. Eppure questa prospettiva mette i brividi all’Asia e rende ansiosi gli Stati Uniti. In soli sei anni di permanenza al potere, infatti, Kim Jong-un ha manifestato una smania senza pari di raggiungere lo status di potenza nucleare e ha compiuto in questa direzione passi che suo padre Kim-Jong il, padrone del Paese per diciotto anni, non si era nemmeno sognato. Ora la Corea del Nord dispone, secondo i servizi segreti occidentali, di un arsenale con una ventina di testate atomiche.

Nel solo 2016 ha tenuto due test atomici sotterranei. Il regime coreano, inoltre, sostiene di essere in grado di miniaturizzare le testate nucleari e svolge senza sosta esperimenti per ottenere un missile balistico intercontinentale che gli consentirebbe di colpire gli Usa. Sarebbe il passo finale, perché la Corea del Sud e il Giappone sono già alla sua portata. È dunque chiaro che cosa vuole Kim Jong-un. Meno chiaro è il perché. La Corea del Nord, con i suoi 25 milioni di abitanti, è un angolo di Asia che si è staccato dal resto del continente. Ha una dittatura brutale su base dinastica, un’economia di sussistenza, una chiusura pneumatica al mondo esterno. Anche i Paesi che una volta le erano solidali, prima fra tutti la Cina, hanno cambiato linea: Pechino ha criticato gli esperimenti nucleari e, in segno di protesta, ha bloccato le importazioni di carbone, che costituiscono la principale voce del commercio estero coreano.

Kim Jong-un potrebbe quindi volere la bomba, e i missili capaci di portarla lontano, per difendere il potere suo e della famiglia, per proteggere lo status quo. D’altra parte, le recenti vicende internazionali in qualche modo rendono comprensibile questa linea. Se l’Iraq avesse avuto l’atomica non sarebbe certo stato attaccato da Usa e Gran Bretagna nel 2003; l’Iran ha lungamente perseguito il sogno nucleare e l’ha abbandonato (forse) solo quando, attraverso l’accordo siglato con Usa, Russia, Onu e Ue nel 2015, ha avuto la certezza che non sarebbe stato a suo volta colpito. Lo status di Paese dotato dell’arma atomica, seppure mai ammesso, protegge Israele. E la pace tra India e Pakistan regge anche perché entrambi i Paesi, dotati della bomba, devono fare i conti con la possibilità di un’ecatombe nucleare.

Molti osservatori, però, soprattutto negli Usa, fanno scenari assai più cupi. Per esempio l’ammiraglio Mike Mullen, ex capo degli stati maggiori riuniti delle forze armate, che in un rapporto scritto per il Council on Foreign Relations ha suonato con forza l’allarme. I test nucleari della Corea del Nord, ha scritto l’ammiraglio, costituiscono per molte ragioni (non ultima, l’inesperienza del leader coreano) un «pericolo incredibile» e una «minaccia diretta» per gli Stati Uniti, che non dovrebbero perdere tempo a reagire.

E proprio qui sta il problema. Reagire sì, ma come? Attaccare la Corea del Nord non si può, Kim Jong-un potrebbe perdere la testa e, con gli strumenti terribili di cui già dispone, provocare un massacro. L’ammiraglio suggerisce una via diplomatica un po’ speciale: neutralizzare la Corea del Nord lavorando con la Cina, che si sente meno minacciata ma tranquilla non è. Pechino ha da sempre una grossa influenza sulla Corea del Nord e sui suoi capi, l’idea pare ragionevole. Peccato che la politica americana stia andando da anni nel senso opposto. Obama aveva spostato l’asse dell’interesse americano sul Pacifico e, proprio «contro» la Cina, aveva organizzato il Partenariato Trans Pacifico (TPP), un’alleanza di dodici Paesi per contenere l’espansione politica e commerciale cinese. Poi è arrivato Donald Trump, che ha affondato il TPP ma ha subito fatto infuriare i cinesi, accusandoli di concorrenza sleale e facendo il tenero con Taiwan.

Insomma: se si vuole disinnescare la minaccia coreana bisognerebbe cambiare strada e organizzare una collaborazione tra potenze che al momento, però, pare piuttosto lontana. Somiglia molto a ciò che si è detto per anni a proposito della lotta contro l’Isis. E infatti Kim Jong-un continua ad avere un volto pacioso e a procedere con i suoi test nucleari.

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