La manovra e le solite
carissime accise

Ci risiamo. Il nostro Paese si trova in evidente difficoltà con il suo «capo», l’Unione europea e non sa come far fronte alle sue richieste, sempre più pressanti. Servono soldi, molti soldi. Si parla dello 0,2 per cento del Pil (in soldoni circa 3,4 miliardi di euro) che l’Italia dovrà recuperare da qualche parte per raggiungere gli obiettivi di budget di medio periodo imposti dalla Ue. Certo, eravamo già stati avvertiti. Per la precisione ci aveva scritto, il 16 novembre, il vice presidente della Commissione europea Valdis Bombrovskis, il quale, analizzando il bilancio previsionale del nostro Paese, evidenziava significativi scostamenti dagli aggiustamenti richiesti all’Italia per il 2017. Poi ci ha scritto ancora, il 17 gennaio, sottolineando nuovamente, e con maggiore incisività, il rischio di scostamento. Il problema è sempre il solito. I soldi non ci sono e come se non bastasse ci troviamo anche a dover affrontare situazioni di emergenza che necessitano di un grande sforzo economico. All’impegno richiesto dalla Ue dovremo infatti aggiungere i costi di ricostruzione delle zone colpite dal terremoto - almeno 1 miliardo di euro - per non parlare del fatto che i tre miliardi di euro all’anno necessari per accogliere i profughi pesano unicamente sul bilancio italiano.Il ministro Padoan, nei giorni scorsi, ha risposto a Bombrovskis proponendo la sua (nostra) ricetta: tre quarti di aumento delle entrate con un quarto di tagli alla spesa pubblica.

Nel dettaglio, le nuove entrate previste deriveranno dalla lotta all’evasione, soprattutto in ambito Iva, e da non meglio precisati «ritocchi alle accise». Ecco, questo è il punto dolente, soprattutto per le nostre tasche. L’accisa è un’imposta sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo e l’aumento delle accise è uno strumento vecchio, abusato e che non incontra certo i favori dell’opinione pubblica. L’aumento delle accise, non si sa perché, quando capita non si toglie più. È in qualche modo definitivo, irreversibile. Non perché la Legge preveda espressamente questa «irreversibilità». Semplicemente perché non lo si vuole fare. Perché, agli occhi del nostro governo, le accise sono comode e «trasversali»: colpiscono inesorabilmente tutti. E soprattutto perché alle accise ci si abitua. Le accise si nascondono ovunque. Nel prezzo della benzina, nei tabacchi, nel quasi incomprensibile prospetto di dettaglio di una bolletta dell’energia elettrica oppure nel prezzo di una bottiglia di liquore.

Ci vengono somministrate a piccole dosi. Cosa volete che sia, ad esempio, pagare la benzina 1 centesimo in più? Ebbene, per essere indignati, basti sapere che oggi stiamo ancora pagando l’aumento delle accise sul carburante introdotto per finanziare la guerra d’Etiopia del 1935-1936 e per la costruzione del canale di Suez (1956). In epoca più «recente» le accise sui carburanti sono state aumentate per finanziare la ricostruzione del disastro del Vajont del ’63. Intervento ampiamente esaurito, ma a distanza di oltre cinquant’anni continuiamo a pagare lo Stato per una necessità che non c’è più. In totale, se aggiungiamo l’Iva, le accise incidono per 50 centesimi su ogni litro di benzina. Ed il discorso peggiora se pensiamo alle accise sui tabacchi che, su per giù, costituiscono il 58 per cento del prezzo del pacchetto di sigarette, Iva esclusa. Tutte accise che stiamo ancora pagando e che pagheremo per chissà quanto tempo.

Forse gli italiani sarebbero stati più felici se avessero percepito, nella lettera di Padoan, il solo impegno (serio) da parte del governo al contrasto all’evasione Iva. Quest’ultima, solo nel 2014, ha sottratto alle casse dello Stato la bellezza di 36,8 miliardi di euro; più di 10 volte quanto chiesto dalla Ue. Mica bruscolini.

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