La mancanza di autostima
Un danno per l’Italia

In questa campagna elettorale un dato è emerso: la tendenza ad attaccare l’euro è diminuita. Rimane la critica all’Europa ma non è usata come arma contundente. Gli euroscettici sono diventati eurocritici. Ed è esattamente la differenza che passa tra l’uscita dall’euro e la sua accettazione. I dati economici confermano la sostenibilità finanziaria del Paese. Il deficit pubblico dal 2007 non è mai stato così contenuto, l’1,9% del Pil contro il 2,1% previsto nella Nota di aggiornamento al Def. La crescita del Pil è dell’1,5% ma soprattutto è calato il debito. Un segno minimo, 131,5% rispetto al 132% precedente, ma un’indicazione di tendenza. Tutto questo induce a dire che come per Portogallo e Spagna anche per l’Italia la strada dell’euro è stretta ma percorribile. Ed è probabilmente il sentimento diffuso della maggioranza dei cittadini. Troppe le incognite sul futuro per auspicare salti nel buio senza rete di protezione.

E tuttavia nel rapporto con l’Europa vi è qualcosa che non va. Basti osservare la più o meno manifesta soggezione dei nostri governanti ogniqualvolta si rechino a Bruxelles. La costante posizione del governo italiano nel tempo è stata quella di auspicare la necessità di una rete di sicurezza per l’Italia. Gioca un ruolo la consapevolezza della parte più avveduta della classe dirigente dei problemi irrisolti del Paese. L’aver affrontato le temperie di una crisi non ancora completamente superata ha certamente ingobbito le spalle di chi istituzionalmente è gravato dal fardello pesante del debito. Questo ha spinto a percepirsi come un debitore sempre alla ricerca di un possibile aiuto esterno. Un atteggiamento che crea insicurezza anche nei partner timorosi di essere coinvolti dalle incertezze italiane.

Così accade che uno dei Paesi fondatori della Comunità Europea, un contributore netto della Ue, la terza economia dell’Unione, la seconda manifattura d’Europa dopo la Germania venga a volte scambiato per un fastidioso querulante. Non c’è quindi da stupirsi se l’immagine del Paese ne esce danneggiata e ai nostri interlocutori a volte vien permesso di impartire lezioni non richieste. Ma è proprio vero che la situazione italiana sia sempre a rischio di precarietà? Daniel Gros, direttore del Centre for european policy studies (Ceps) di Bruxelles, afferma categoricamente che l’Italia non è un Paese debitore. Fa sensazione leggerlo ma è un fatto che l’Italia ha un buon avanzo delle partite correnti e se guardiamo al passato le eccedenze e i disavanzi più o meno si eguagliano. Ne consegue che la posizione patrimoniale netta con l’estero è in equilibrio. Il saldo primario del bilancio dello Stato, al netto del servizio del debito, è positivo per l’1,9%. La Francia del tanto ammirato Macron, tanto per fare un esempio, ha un disavanzo delle partite correnti e una posizione patrimoniale netta estera negativa.

Ed anche se dopo le elezioni qualche fondo americano iniziasse a vendere debito italiano i risparmiatori italiani sarebbero in grado di provvedere. Ad una condizione: aver fiducia nel proprio governo. Perché questo è il vero tallone d’Achille italiano. La mancanza di autostima. Il percepirsi bisognosi anche quando non lo si è. Votarsi all’aiuto altrui anche quando se ne potrebbe fare a meno. L’Italia ha solide basi per ripartire ma deve uscire dal piagnisteo: dissipare l’impressione di percepirsi come debitore sempre alla ricerca di aiuto dall’esterno. L’unico vero aiuto del quale il Paese ha bisogno è quello dei suoi cittadini e del loro senso di responsabilità verso le sue istituzioni democratiche.

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