L'Editoriale
Martedì 28 Giugno 2016
La lezione spagnola
La protesta non paga
Le nuove elezioni spagnole non hanno restituito per ora al Paese la governabilità che aveva perduto nel dicembre scorso in seguito all’irruzione alle Cortes dei nuovi partiti Podemos e Ciudadanos, ma hanno egualmente mandato all’Europa un segnale importante: in un momento in cui ovunque prevale la contestazione ed i vecchi partiti sono sotto assedio, gli elettori iberici hanno invece rafforzato il Partito Popolare al governo e ridimensionato la sinistra di Podemos, che guidava il fronte della protesta e aspirava addirittura alla guida del Paese in alleanza con i socialisti e i partiti separatisti.
Inutilmente il suo carismatico leader, Pablo Iglesias, ha fatto blocco con i veterocomunisti di Izquierda Unida, inutilmente si è impegnato a fare piazza pulita della vecchia e corrotta nomenklatura, inutilmente ha promesso ai separatisti catalani e baschi quel referendum sulla secessione che il premier Rajoy rifiuta: la gente non si è fidata e, smentendo tutti i sondaggi della vigilia, ha perfino negato a Podemos quel sorpasso sui socialisti del Psoe che rappresentava il suo traguardo minimo. Se questa brusca battuta d’arresto della «protesta per la protesta» (come l’ha definita il politologo Bremmer), con relativo rafforzamento del cosiddetto usato sicuro, si ripercuoterà nel resto dell’Occidente rimane da vedere, ma le occasioni per la verifica - le elezioni tedesche, olandesi e francesi del 2017 - sono ormai vicine.
Il successo di Rajoy, che da ormai sei mesi presiedeva un governo senza più maggioranza in Parlamento e con poteri limitati all’ordinaria amministrazione si spiega soprattutto con i progressi economici del Paese: un aumento del Pil su base annua del 3,4 per cento (il più alto d’Europa) e un calo della disoccupazione – sia pure un po’ manipolato nelle cifre – dal 26 al 20 per cento.
Non solo l’assenza di un esecutivo nel pieno delle sue funzioni non ha fatto danni, tanto che lo spread è rimasto sempre stabile su livelli appena superiori a quelli italiani, ma sotto certi aspetti sembra essere stato addirittura benefico. Tuttavia, lo stallo non poteva durare in eterno, e dopo estenuanti tentativi, anche da parte del re, di formare una qualche coalizione, il ritorno alle urne è stato inevitabile.
Purtroppo, dal punto di vista di un ritorno alla governabilità, è risultato anche inutile. Il Partito popolare, pur passando da 123 a 137 deputati, è rimasto lontano dalla maggioranza necessaria per formare un governo, e anche alleandosi con i 32 liberali di Ciudadanos non arriverebbe alla fatidica cifra di 176. Per la sinistra, i numeri sono ancora peggiori, perché anche nel caso di una ipotetica, e politicamente quasi impossibile, coalizione tra Podemos, socialisti e partiti catalani, non sarebbe in grado di ottenere la fiducia delle Cortes.
L’unica soluzione possibile, perseguita tenacemente quanto inutilmente da Rajoy nei mesi scorsi, e appoggiata da Europa, Stati Uniti e perfino dalla Chiesa, rimane la «Grande coalizione» alla tedesca tra i due partiti storici, i Popolari e i Socialisti. Ma i vecchi rancori tra gli eredi del franchismo e i suoi oppositori e la mancanza di tradizione in questo senso hanno finora reso l’impresa impossibile.
Per il momento, l’atmosfera non sembra molto cambiata. Sia i socialisti, sia Ciudadanos hanno fatto sapere ieri che non hanno intenzione di partecipare, o anche solo di appoggiare, a un governo presieduto da Rajoy, cui il re dovrà, per legge, conferire il primo incarico.
Ma i leader politici non possono non rendersi conto che il passaggio permanente dal vecchio bipolarismo a una specie di «quattripolismo» richiede soluzioni nuove, e che comunque sarebbe sia inopportuno sia inutile - viste le modeste variazioni rispetto a dicembre - ricorrere a una terza elezione in tempi brevi. Un compromesso, magari con un cambio di leader, o con l’espediente di appoggi esterni a governi di minoranza, è diventato più che necessario, indispensabile.
Serviranno probabilmente altre settimane prima che si «trovi la quadra», ma sembra passata la voglia di nuove avventure. Forse anche l’esito dirompente della Brexit, con relative ricadute finanziarie ed economiche anche sulla Spagna, servirà di lezione.
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