La lezione di Orban
al gigante incerto

Alla fine, e solo grazie a Viktor Orban, l’Unione europea ha battuto un colpo. L’Europarlamento (693 votanti, 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astenuti) ha «incriminato» il discusso leader ungherese, spedendo il caso davanti al Consiglio dei Capi di Stato e di governo che ha la facoltà di avviare la procedura prevista dall’articolo 7 dei Trattati, al termine della quale l’Ungheria potrebbe anche essere «condannata» e perdere il diritto di voto nella Ue. La lunga frase che è servita a riassumere, e molto sommariamente, la «questione ungherese» già ci dice che, come al solito, la Ue ha battuto un colpo a metà.

In primo luogo perché alla condanna dell’Ungheria non si arriverà mai: servirebbe il voto unanime dei ventotto Paesi dell’Unione ed è certo che almeno uno, la Polonia, su cui incombe un’analoga procedura, voterà contro, proprio come l’Ungheria aveva annunciato di voler votare contro eventuali sanzioni ai danni della Polonia. E poi perché l’Ungheria, a dispetto del gran rumore che si fa intorno a Orban, è un pesce davvero piccolo all’interno della Ue. Il suo contributo al bilancio comunitario è una miseria, solo lo 0,82% del totale (la piccola Irlanda, per fare un solo esempio, vale il doppio; Germania, Francia, Italia e Regno Unito forniscono più del 60%). L’Ungheria dà all’Europa circa un miliardo e ne riceve 4,5. L’81% delle sue esportazioni si realizza all’interno della Ue e dalla Ue riceve il 78% delle importazioni. Dove volete che vada, l’Ungheria, senza la Ue?

Ce la prendiamo con i più deboli, insomma. Al posto di esultare come se la Ue avesse vinto una battaglia decisiva, dovremmo piuttosto chiederci come sia stato possibile tollerare fino a ora le bizze di un Paese di poco peso, l’Ungheria, che ha sgomitato per entrare nella Ue e poi, una volta messoci piede, ha disatteso tutti gli impegni che aveva preso, dall’adesione all’euro (l’ultima di Orban è che l’euro sarà adottato quando il reddito pro capite degli ungheresi arriverà al 90% di quello di cui già godono gli abitanti della zona euro, cosa che, secondo gli economisti, se tutto va bene, potrebbe forse avvenire verso il 2060) alla redistribuzione dei migranti. Facendosi quindi beffe del regolamento del club che l’aveva accolto quando aveva le pezze al sedere e che tuttora la foraggia con generosità.

Ma c’è una ragione più complessa che spiega perché questo braccio di ferro può entusiasmare solo fino a un certo punto. Quando ha parlato al Parlamento europeo, Orban sapeva che la censura all’Ungheria (molti i capi d’accusa: censura all’informazione, limitazioni all’indipendenza della magistratura, attacco alle ong, corruzione e appropriazione indebita dei fondi Ue…) era già stata decisa. Così ha sfruttato l’occasione per parlare non agli europarlamentari ma agli ungheresi, sollecitando il loro orgoglio nazionale e incrementando così il proprio credito politico in patria. Cosa di cui non c’era bisogno, perché Orban è al quarto mandato da primo ministro e ha governato l’Ungheria per dodici degli ultimi vent’anni. Quindi: che fare se è lui e la sua politica ciò che gli ungheresi vogliono? Che fare se tra otto mesi, alle prossime elezioni europee, lui e il suo partito, Fidesz, aumenteranno ancora i consensi?

Judith Sargentini, l’europarlamentare olandese dei Verdi che ha letto in aula la «requisitoria» contro Orban, ha poi detto che «gli ungheresi meritano di meglio». Ora non le resta che spiegarlo agli ungheresi, che hanno appena rieletto Orban a larga maggioranza. O forse la Sargentini pensa di sapere ciò che conviene agli ungheresi meglio degli stessi ungheresi? Detto in altre parole: finché si continuerà a credere che certi successi politici (in Italia, in Francia, in Svezia, nella Repubblica Ceca, in Polonia…) siano frutto del caso o dell’insipienza degli elettori, e non si abbandoneranno le ipocrisie che stanno suicidando le sinistre in tutto il continente, la Ue resterà il gigante incerto e tremolante che abbiamo sotto gli occhi. A Bruxelles lo sanno bene, peraltro. Non a caso, nelle stesse ore del processo parlamentare a Viktor Orban, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, ribadiva l’intenzione di varare una polizia di frontiera europea. Un progetto che piacerebbe moltissimo anche a Orban.

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