La guerra di civiltà
delegata ad altri

Quella dichiarata da Al Qaeda, dall’Isis, da Boko Haram è una guerra di distruzione contro i cristiani e contro l’Occidente, in quanto «cristiano» - sempre meno! - e «crociato». Non è promossa dagli Stati islamici della Lega Araba. Non è una guerra tra/delle religioni. Così ribadisce, a ragione, Francesco. Le guerre di religione sono sempre partite dalla volontà di imporre il dogma con la violenza. Certo, esse hanno sempre fatto un brutale uso politico e socio-economico dei dogmi, impastandoli con sangue e terra e, oggi, con il petrolio.

Quella scatenata da anni dal fondamentalismo islamico contro l’Occidente - sintesi di eredità greco-romana, di cristianesimo cattolico/protestante, di lingue romanze/germaniche, di separazione Stato/Chiesa, di stato di diritto, di pluralismo sociale, di corpi rappresentativi, di diritti e di libertà individuali – è assai più di una guerra di religione: è una guerra di civiltà. Molti sedicenti politically correct non la vogliono vedere e perciò non la vogliono combattere. Le religioni hanno creato le civiltà: le visioni del mondo, della persona, della famiglia, del maschio e della femmina. Hanno generato e regolato i rapporti sociali, la morale individuale e quella pubblica.

Come scriveva Samuel Huntington: «La religione è “la cosa seria” delle avventure del genere umano». Il cristianesimo ha costruito la nostra civiltà quotidiana: Dio e l’uomo come Ragione e Libertà; la libertà di religione; la parità maschio-femmina; la separazione tra religione e Stato. Il fondamentalismo islamico ha generato l’opposto: Dio è Volontà e Potenza; l’uomo non è libero davanti a Dio; la donna è una non-persona; l’intolleranza religiosa fino all’assassinio è un dovere; stato e religione coincidono. Basta questo a scatenare un conflitto tra civilizzazioni diverse? Per l’Occidente ateo, non credente, laico e pluralista, non vale più la pena morire per un Dio; ma, secondo la versione fondamentalista dell’Islam totalitario sì! Sta scritto nel codice genetico-teologico di una religione guerriera, nata dalle tribù beduine del deserto arabico. Il fondamentalismo armato ne costituisce una variante, appartiene all’album di famiglia dell’Islam sunnita e sciita, così come delle Br, a suo tempo, si ammise, a fatica, che appartenevano a quello della sinistra. Non è estraneo all’Islam.

E questa è la causa profonda delle reticenze e dei silenzi dell’islam moderato, rotti per la prima volta clamorosamente solo domenica scorsa nelle chiese cattoliche. Il fondamentalismo è una sorta di teologia della liberazione. Una teologia assassina. Esso fa un’analisi, secondo la quale le cause dell’arretratezza economica, civile e scientifica del mondo islamico stanno all’esterno dell’Islam, sono il colonialismo e l’imperialismo occidentale-cristiano e sovietico (il cosiddetto socialismo arabo). Perciò, le classi dirigenti dei ventidue Paesi della Lega araba sono imputate di subalternità all’Occidente e di tradimento dei fondamenti dell’Islam. Di qui la sanguinosa guerra civile interna all’Islam. E noi europei? Ci sono due sole strade per combattere la guerra di civiltà in atto. La prima: distruggere le basi territoriali in Siria, Iraq e Libia dello Stato islamico, che gli conferiscono una forza di attrazione politico-simbolica e militare.

Ora, i cittadini europei applaudono, ma delegano la guerra sul terreno ad altri: agli americani, ai russi, ai curdi, agli iracheni, ai siriani… Se i leader europei non hanno il coraggio di uscire dalla schizofrenia e dalla retorica ipocrita, è perché i cittadini per primi ne sono affetti. È molto più comodo prendersela con gli immigrati. Come se il terrorismo dei lupi solitari, che recluta tra gli immigrati, non fosse ispirato dall’Isis. La seconda strada: continuare ad essere «civili», offrendo agli immigrati le libertà, i saperi di civiltà, la certezza dei diritti e il rigore dei doveri.

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