L'Editoriale
Mercoledì 14 Marzo 2018
La guerra delle spie
tra ombre e ricatti
«Novyciok» in russo sta per «ultimo arrivato», in senso lato anche per «ultimo nato». Si tratta in ogni caso di un vezzeggiativo. Ed è il nome delicato che fu dato al più letale dei gas nervini, creato nei laboratori sovietici negli anni Settanta e, secondo il premier inglese Theresa May, usato per cercare di uccidere Sergej Skripal, un ex colonnello dei servizi segreti dell’Armata Rossa, e sua figlia Yulia. Da qui la nuova crisi dei già pessimi rapporti tra il Regno Unito e la Russia, con reciproche minacce e il potenziale coinvolgimento, al fianco degli inglesi, della Ue e degli Usa. E mentre Skripal e la figlia lottano per la vita, a peggiorare le cose è arrivata la morte di Nikolaj Glushkov, altro esule russo e figura assai discussa.
È difficile districarsi in vicende spesso oscure, quasi sempre sospette, di certo usate come leva di ricatto politico. Skripal era stato arrestato nel 2004 per aver passato ai servizi segreti inglesi, sin dal 1995, i nomi delle spie russe in Europa. Condannato a 13 anni di carcere, nel 2010 fu perdonato e poco dopo usato, insieme con altre tre spie, come pedina di scambio per la liberazione di dieci agenti russi arrestati dall’Fbi. Per essere un tale traditore, insomma, se l’era cavata alla grande. Uno simile, ai tempi dell’Urss, l’avrebbero fucilato. In Occidente avrebbe preso almeno trent’anni. Lui, invece, si era ritrovato nella provincia inglese a fare il pensionato con succose collaborazioni nel settore della cyber sicurezza. Sua figlia Yulia aveva a lungo vissuto nel Regno Unito prima di tornare a Mosca. Quando il gas nervino ha colpito, lei era appena arrivata dalla Russia.
La domanda quindi è: che razza di traditore era, questo Skripal? Se era un nemico della patria perché lasciarlo andare e poi, anni dopo, cercare di eliminarlo con una firma russa così evidente? Ma se non sono stati i russi, chi è stato? Ancor più confusa la vicenda di Nikolaj Glushkov, trovato senza vita nella sua casa. Arrestato nel 1999 per aver drenato decine di milioni all’Aeroflot per cui lavorava, fu condannato a cinque anni di carcere. Una volta liberato, aveva ottenuto asilo politico nel Regno Unito. E anche qui: cinque anni non sono un po’ pochini? E perché un ladro dev’essere accolto come un perseguitato politico?
Insomma, in queste faccende si incrociano tanti elementi. La confusione degli anni Novanta in Russia, quando tutto cambiava e tutti cercavano di cavarne profitto. La strategia di Vladimir Putin che, fin dagli esordi, ha reso chiaro che attentare alle risorse nazionali poteva costare caro. Il confronto degli ultimi anni tra una Russia assertiva e nazionalista e un Occidente ambiguo, che ha accettato la sfida ma forse non l’aspettava così dura. E poi i maneggi dei servizi segreti, la lotta per le risorse, la guerra globale che in Siria e Ucraina si svolge alla luce del sole ma altrove nell’ombra e con altre armi.
Da tempo i russi sospettano che i Mondiali di calcio in programma nel loro Paese, e che il Cremlino attende come una vetrina mondiale, possano essere sfruttati per attaccare la Russia. La vicenda di Skripal sembra fatta apposta: se il Regno Unito decidesse di boicottare la competizione con l’appoggio politico degli Usa e quello sportivo dell’Europa e di altre nazioni, il disastro sarebbe certo. È però anche chiaro che le autorità russe non possono più chiamarsi fuori da una serie di morti illustri o strane che, su territorio loro o altrui, coinvolgono personaggi a loro più o meno sgraditi. Ci vuole una gran fantasia per credere che Putin possa ordinare di eliminare un reduce trafficone come Skripal, e che tale ordine possa essere eseguito in modo così goffo. Ma dire «non siamo stati noi» non basta più e basterà sempre meno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA