L'Editoriale
Venerdì 19 Maggio 2017
La Germania cerca
le imprese italiane
L’iper ammortamento per il piano Industria 4.0 viene prorogato al 2018. Le misure del governo che favoriscono gli investimenti per innovazione e competitività hanno portato già a risultati di rilievo. Le aziende investono e quindi favoriscono un processo di ripresa con il risultato che molte imprese dislocate all’estero hanno cominciato a ritornare in patria. Il processo di digitalizzazione e di «internet of things» (internet delle cose) ha favorito una riduzione delle spese e quindi reso inutile la ricerca di bassi costi di manodopera.
Si andava in Romania o in Cina perché da quelle parti i salari sono bassi, adesso la tendenza si sta invertendo. È un buon segno perché finalmente si finisce di giocare al ribasso e si affrontano le sfide della competitività con l’unica arma che hanno i Paesi industrializzati: la ricerca e lo sviluppo scientifico.
È un processo che la Germania ha già vissuto alla fine degli Anni Novanta quando le grandi imprese delocalizzavano per ridurre i costi . Poi le aziende si sono riprese dallo shock e con la riduzione delle prestazioni dello stato sociale e una maggiore flessibilità lavorativa hanno cominciato a investire nelle nuove tecnologie. Ciò che sta accadendo ora in Italia, la Germania l’ha già vissuto. Ed è questo il motivo che fa del Paese di Bosch, Siemens, Bayer, Basf, ecc., l’epicentro della rivoluzione in atto nell’Europa produttiva. È qui che è nata Industria 4.0. La tecnologia non ha patria ma ha bisogno di una guida che sappia renderla appetibile. I tedeschi si sono fatti carico di questo impegno. Non per altruismo, ma perché ne hanno bisogno. La grande industria tedesca è così integrata con il mercato europeo da rendere impossibile uno sviluppo nazionale senza il coinvolgimento delle economie degli altri Stati. Se un’azienda che produce bulloni ed è situata in Italia non si modernizza, l’industria automobilistica tedesca deve andare a cercarsi un altro fornitore fuori dai confini della Ue. La cosa è possibile ma ha anche svantaggi. La valuta per prima e poi la logistica. Un conto è la Brianza, un altro Shangai. Da qui l’interesse strategico di creare in Europa un network di imprese che si muovano in sintonia con le esigenze produttive tedesche.
L’Italia è il secondo Paese manufatturiero d’Europa e quindi è qui che si concentrano le attenzioni della grande industria d’Oltralpe. La Camera di commercio italo tedesca di Milano si è fatta carico di portare la buona novella in un Paese afflitto da mille problemi ma con una rete di piccole e medie imprese che non ha confronti in Europa. Abituati ai toni di supponenza che di solito accompagnano le uscite pubbliche dei rappresentanti dei grandi gruppi industriali tedeschi colpisce la tendenza a ridimensionare il proprio ruolo a vantaggio della manifattura italiana.
Lodi per esempio ha Barilla che produce milioni di tonnellate di pasta e ha applicato una tecnologia italiana per rendere il prodotto pronto alla fornitura just in time. Insomma si è capito che presentarsi come primi della classe non paga. Un primo passo verso la normalizzazione. È evidente che la Germania da sola non gliela fa. Ideale sarebbe che lo si dicesse direttamente e quindi si evitasse la sgradevole impressione di far passare i propri interlocutori come comprimari della potenza guida.Tutti sanno che in Germania sono bravi ma nessuno dice che senza l’aiuto indispensabile dei partner europei non potrebbero esserlo. L’Europa è come l’aria: ci si accorge che è vitale solo quando c’è il rischio che venga meno. Riconoscerlo anche sul piano politico sarebbe il passo giusto per dare all’ Unione europea quello che le spetta.
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