La disabile negli Uffizi
Burocrazia e buon senso

Un eminente sociologo - famoso anche per i suoi deliziosi paradossi - ama affermare, con arguzia tutta partenopea: il mondo si divide in burocrati e creativi. Il burocrate è colui che alle 14.01 non ti lascia entrare o abbassa lo sportello, dicendo «mi spiace, è chiuso»; il creativo è colui che, di fronte a un cittadino che gli fa una richiesta, pensa sempre «cosa posso fare per lui?». Le due tipologie esistono, ovviamente, tanto nel sistema pubblico, quanto nel mondo privato, ma nei riguardi dei dipendenti pubblici esiste un pregiudizio antico e radicato: i pubblici dipendenti sono tutti, indistintamente «burocrati» da condannare a priori.

Opinione in larga misura legittimata dalle obiettive inefficenze che costellano l’amministrazione pubblica e con le quali ognuno di noi ha avuto modo di scontrarsi. Ma, come tutti i luoghi comuni, l’idea di un sistema popolato quasi esclusivamente di nullafacenti e incapaci è fuorviante. In vero, giudizi tanto drastici andrebbero rivisti. La vicenda accaduta agli Uffizi venerdì scorso ne fornisce l’opportunità. L’ondata di caldo abbattutasi su tutta Italia ha creato disagi diffusi. Nella celebre galleria fiorentina il blocco del sistema di condizionamento d’aria aveva reso difficoltosa la presenza di moltitudini di visitatori. Di conseguenza, il direttore, Eike Schmidt, ha deciso la chiusura al pubblico per tutto il resto della giornata per permettere di ripristinare i condizionatori.

La possibilità che si verificassero problemi di natura sanitaria per i visitatori e per lo stesso personale di servizio avevano indotto il direttore a una scelta sofferta, ma evidentemente responsabile. Comprensibile il disappunto delle tante persone in attesa. Tra queste, Sara, una ragazza statunitense di 14 anni, disabile, ai quali i genitori avevano voluto regalare - nel giorno del suo compleanno - la gioia della visita a uno dei luoghi d’arte più affascinanti del mondo. Di fronte alla delusione della giovane - ed essendosi reso conto che si trattava di una situazione del tutto eccezionale - il direttore non ha avuto esitazioni, disponendo che Sara fosse accompagnata a visitare la Galleria. Un’eccezione opportuna, umanamente toccante, formalmente ineccepibile (sperando che nessuno dei visitatori rimasti fuori della galleria faccia ricorso al Tar).

Potrebbe sembrare una storia da libro Cuore. Si tratta, in realtà, di una vicenda di ordinaria intelligenza civile. Che fornisce due semplici insegnamenti. È evidente che spesso basta assai poco per risolvere situazioni apparentemente irrisolvibili; altrettanto evidente che la grande maggioranza dei pubblici dipendenti non corrisponde affatto al cliché del burocrate ottuso e formalista. Se si chiedesse al direttore degli Uffizi cosa pensi di quanto è accaduto, egli risponderebbe di aver fatto il suo dovere, cercando una soluzione idonea a un caso straordinario, senza venir meno al rispetto delle regole che gli imponevano di valutare le conseguenze dell’apertura in condizioni di evidente disagio e di possibili rischi.

Sul senso di responsabilità di tanti impiegati pubblici mi sia permesso un ricordo personale. 1985, ufficio legislativo del ministero dell’Interno; dal pomeriggio ero il funzionario di turno, su ordine del prefetto, direttore dell’ufficio. Era con me il responsabile dell’archivio, un anziano impiegato. Stavamo aspettando un vice prefetto che doveva riportare le carte che aveva portato all’aeroporto di Ciampino affinché il ministro Scalfaro, in partenza per Parigi, le firmasse. Alle 22.30 mi rivolsi all’impiegato, dicendogli «cavaliere (teneva tanto a quel titolo acquisito per il lungo servizio nello Stato), vada pure, ci sono io». Risposta: «dottore, non mi muovo di qui, finché non torna il viceprefetto». E così fu. Rimanemmo in ufficio fino alle 24 quando rientrò il dirigente. Tornai a casa consapevole di aver ricevuto una lezione di cosa fosse la dignità e il senso del dovere di un servitore dello Stato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA