La crisi d’identità
indebolisce l’Europa

La questione identitaria attraversa l´Europa. Il primo atto del governo di Sebastian Kurz in Austria è stata la richiesta del doppio passaporto per i cittadini di lingua tedesca dell’Alto Adige. Gli altoatesini sono un’entità linguistica e di popolo superprotetta. In Italia stanno bene. Il doppio passaporto li realizzerebbe nei loro sogni: godere il benessere acquisito stando in Italia con un documento d’identitá austriaco. Un’evidente forzatura opportunista. Ma il neo governo austriaco coglie e sfrutta il disagio del momento. La paura di essere sovrastati da un fenomeno che non si controlla, quale é la globalizzazione e l´immigrazione nella percezione di molti, crea reazioni diffuse in Europa.

Brexit per esempio é la speranza di ridurre gli accessi e quindi la contaminazione con lo straniero dopo decenni di immigrazione sregolata. Il cosiddetto melting pot, il crogiolo delle diverse razze e etnie é finito nelle rivolte di quartiere e nell´estremizzazione terroristica. Riaffermare la dimensione «british» é il segno di una ritrovata idea di nazione, quella che ha fondato un impero e ha vinto due guerre mondiali. Un sottile sciovinismo che il politicamente corretto non può dire: ma si sa che la Gran Bretagna é fatta in due: sopra la upper class dei gentlemen e sotto la plebe . Li salva la mobilità: la scala sociale funziona e chi vale può nutrire speranza di farcela. È questa la libertà che muove la nazione e che un’immigrazione incontrollata avrebbe compromesso. Anche gli austriaci sono inconsolabili: l´impero asburgico non é mai morto nei cuori dei viennesi e dei tirolesi. Basti andare a Vienna per rendersene conto.

E del resto con chi avrebbero mai potuto sostituire Francesco Giuseppe? Con un presidente di una mini Repubblica? Un’entità statuale talmente stretta che quando arrivò Hitler molti gli si buttarono al collo e chiamati alle armi non disdegnarono di servire la Grande Germania. La questione alto atesina é anche questo, il desiderio di riportare a casa un pezzo di patria perduta. Che é poi ciò che muove i cuori delle nazioni dell´Est europeo. Orban rivendica i valori dell’occidente cristiano. I turchi nel 1683 furono fermati sotto le mura di Vienna e decisivo fu l´intervento del polacco Jan Sobieski. L’Ungheria era terra di scorrerie per gli ottomani. L´identità di quei popoli si é formata nel segno del cristianesimo. Si porge l´altra guancia ma non a chi, anche solo in ragione dei suoi numeri, diventa una minaccia per i luoghi, in cui si é cresciuti. Si pensa di poter dire ancora qualcosa di sé senza dover ricorrere a prestiti altrui.

Su questi principi si sta formando all´Est una riproposizione del vecchio impero asburgico con entità nazionali ben definite ma unite dal comune intento di non farsi sommergere dall’anonimità dell’eguaglianza. Concetto quest´ultimo che si riappropria della sua valenza economica e politica solo nell´affermazione della storia, dei costumi e delle tradizioni dei popoli. Del resto i cinesi si guardano bene dal confondersi con gli altri. Sono diventati l´emblema della globalizzazione ma a casa loro guai a chi come i tibetani o Hong Kong osi avanzare una sua diversità. Vogliono anche loro una standardizzazione ma la vogliono cinese.

L´Europa vive invece la varietà, la diversità, il multilinguismo. Pretendere di imporre i valori del laicismo agnostico di scuola francese va bene per la Francia ed é diventato l’ideologia dell’Europa comunitaria solo perché agli inizi la Germania era troppo debole politicamente per potervisi opporre. Ma adesso tutto é più difficile. Come amalgamare 27 nazioni unite dall’economia e disunite dalla politica?

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