L'Editoriale
Mercoledì 09 Marzo 2022
La Cina in campo, l’incognita Putin
Una giornata, quella di ieri, che sul fronte della guerra in Ucraina è parsa divisa in due, al modo però di due facce di una stessa medaglia che non si guardano mai. Sul campo di battaglia nessuna novità positiva. Si continua a sparare e a morire. I corridoi umanitari, a Kiev, Irpen, Mariupol, Sumy e nelle altre città assediate o bombardate, funzionano poco e male. Più che una tregua umanitaria, come l’hanno definita i russi, pare una pausa che ai combattenti serve per riprendere fiato. Vladimir Putin, nel giorno delle donne, ha citato Caterina II, la zarina «che non era russa di nascita ma era orgogliosa di esserlo diventata» e che si diceva pronta a tutto per difendere la Russia.
Volodymyr Zelensky accenna a possibili accordi sulla Crimea, la Nato e il Donbass, ma non è la prima volta. Nulla si muove, il timore è che si tratti di una specie di quiete prima di un’ulteriore tempesta.
Le vere novità, semmai, sono da lontano. Gli Usa hanno decretato l’embargo sulle importazioni di petrolio e gas dalla Russia, dicono che per difendere gli oppressi dagli oppressori bisogna essere disposti a fare sacrifici. Ma per loro è facile, le risorse energetiche russe coprono una minima parte del fabbisogno americano. Il segretario di Stato Blinken vola nell’Europa dell’Est per poi dirigere verso Parigi e incontrare il presidente Macron, di gran lunga il più tenace nel tener vivo il difficile dialogo con il Cremlino. Sarà per allineare la Francia all’embargo o per capire qualcosa di un Putin che non sembra disposto a cedere e che forse, come spesso è capitato in questi anni, ha dalla sua più russi di quanto ci piaccia ammettere?
Usa a parte, si sente nel resto del mondo il genuino timore per una deriva che, dal fronte tra Russia e Ucraina, potrebbe allargarsi e diventare planetaria. Non c’è solo la guerra, che minaccia sempre di coinvolgere altri Paesi. Le sanzioni economiche colpiscono ma non piegano (ancora) la Russia, però intanto si fanno sentire anche altrove. Il prezzo delle materie prime vola, gli approvvigionamenti stentano, il costo della vita cresce ovunque, le difficoltà di molte società che ancora provano a uscire dalla pandemia si fanno di giorno in giorno più evidenti. Gli scossoni generano associazioni fino a due settimane fa impensabili. Il leader cinese Xi Jinping si consulta con Macron e con il cancelliere tedesco Scholz, dice che la Cina vuole sostenere «con un ruolo attivo» gli sforzi di Francia e Germania per arrivare a una tregua e intanto «lavorare con gli altri Paesi» per ridurre l’effetto delle sanzioni. L’enorme macchina cinese (enorme nella produzione come nei consumi) ha bisogno di stabilità, proprio ciò che oggi manca. Molti tirano un sospiro di sollievo, la discesa in campo di Pechino è considerata da molti l’unica carta potenzialmente risolutiva per i solidi legami politici e commerciali con Mosca. Ma anche per Xi Jinping la domanda è: che cosa vuole Putin? Che cosa si può dargli, o gli può dare Zelensky, che non avesse anche prima della guerra, quando l’ingresso dell’Ucraina nella Nato era di fatto escluso e le due Repubbliche del Donbass erano ormai al riparo sotto le ali della Russia? Forse Xi Jinping lo sa, di certo è l’unico che può saperlo.
Si muove anche Papa Francesco, che nell’area della crisi ha inviato i cardinali Konrad Krajewski, l’Elemosiniere, e Michael Czerny, Prefetto ad interim del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e specialista delle questioni relative ai migranti. Una scelta fatta per sottolineare l’attenzione alle persone che soffrono, alle vittime di una guerra assurda. Ma, anche, una partecipazione al dramma degli ucraini che prevede la possibilità di un ruolo più attivo nella ricerca della pace, come del resto riconosciuto anche dalla Santa Sede. Può essere questa la strada? Può essere la mano carezzevole e disinteressata del Papa quella che riuscirà a stringere tutte le altre? Possiamo sperarlo. Senza però trascurare una difficoltà in più. Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, ha indossato l’elmetto e dal pulpito della cattedrale di Cristo Salvatore ha spiegato che questa è la guerra della Russia per salvare il mondo dal peccato. È la dottrina di «Mosca terza Roma» che dai tempi di Ivan il Terribile accompagna l’imperialismo russo. Gliel’ha chiesto Putin? Certo è che l’avvicinamento tra cattolici e ortodossi ora si ferma. In perfetta sincronia con l’allontanamento traumatico della Russia dall’Occidente.
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