La Chiesa nel mondo
Il coraggio dell’attesa

Un fine settimana «pieno» di missione. Si è concluso a Brescia il primo Festival della missione e, oltre ogni valutazione che si farà nelle sedi opportune, occorre sottolineare il coraggio di aver provocato una città, nell’intreccio tra la comunità civile e religiosa, nel dialogo Chiesa-mondo, attorno ad una proposta ed un impegno di evangelizzazione. Raggiunto, dunque, l’obiettivo di far parlare la missione. Il tam tam si diffonde in tutto lo Stivale. Di fatto la strada è diventata protagonista in questi giorni di un annuncio che, nella molteplicità dei linguaggi e delle espressioni, ha detto le ragioni più vere della missione.

Accettare di uscire è già rispondere alla sfida che la missione porta con sé da sempre. Basterebbe fare qualche nome, lasciare spazio al racconto, recuperare alcuni tempi particolari per dare consistenza a questa affermazione. Ancora di più l’azzardo di alcune sfide affrontate di petto costringe a rimettere in gioco l’agire ordinario della Chiesa nel mondo e delle nostre parrocchie nel loro piccolo universo, chiede di riscoprire l’urgenza dell’annuncio del Vangelo.

È il volto dell’uomo che ci interpella. Chiede alla Chiesa cosa sta facendo per la custodia della vita, dei diritti, del lavoro per poi appellarsi alla giustizia, all’economia di mercato, alla libertà, alla lotta alla povertà nelle sue diverse sfaccettature. E, se nel passato la connotazione geografica individuava situazioni di precarietà e disagio, oggi c’è una significativa fragilità esistenziale che attraversa ogni longitudine e latitudine senza differenze. Occorre esserci. Sono le azioni dell’uomo a provocarci. Imbarazzante quella globalizzazione che segna il migrare di interi popoli, quella connivenza quasi narcotizzata con la violenza e la guerra, con le ingiustizie sociali e le fragilità politiche. Illusorio pensare che basti qualche aggiustamento, qualche sostituzione di facciata in un «cambiamento d’epoca» che Papa Francesco indica come inesorabile e carico di attese.

E la missione è quella dinamicità che permette di rendere presente tentativi di comprensione e risposta nella complessità delle relazioni e delle prospettive. Occorre giocarsi. La tensione verso il futuro chiede sempre maggiore responsabilità del presente. Si può tacere sulla vita umana abbandonata al barcone della speranza? Possibile ignorare il grido dei piccoli schiacciati dalla sfruttamento e dell’interesse di pochi? Sereno un celebrare senza vissuto o una comunicazione capace di stravolgere la verità? Appagante vivere una vita ecclesiale sdolcinata, nostalgica, lontana delle fatiche e riparata da ogni domanda esistenziale? La missione chiede di lasciar da parte pesi inutili, strutture e organizzazioni per ritrovare lo slancio del cammino. Occorre crederci. Potrà sembrare presuntuoso farcire di missione tutto questo oppure pretendere che qualche missionario, pur virtuoso e impegnato, diventi la panacea di un mondo difficile. Presuntuoso e interessato, basti pensare alla crisi che anche questa dimensione della vita della Chiesa sta vivendo a livello vocazionale e di organismi.

Il Festival della missione poteva avere tanti obiettivi, ma alla fine voleva solamente riaprire le finestre sul mondo. Un bisogno irrimandabile per la comunità ecclesiale, una possibilità di corresponsabilità con realtà laiche e istituzionali, una proposta coinvolgente e capace di andare oltre quello che si è sempre fatto.

La dinamicità della missione ha sicuramente avuto la meglio ed è diventata, ancora una volta, seminagione. Adesso occorre avere il coraggio di attendere come fanno i genitori nei confronti dei loro piccoli. E l’attesa è densa di vita, passione, responsabilità. Solo il «Signore della messe» sarà capace di stupirci. Per questo la missione è possibile!

*direttore del Centro missionario diocesano

© RIPRODUZIONE RISERVATA