La carrozza di Manzù
carica di desideri

La strada che da San Tomaso sale a Pignolo Alta è lastricata di ciottoli e porfido a spina di pesce. Una vecchia carrozza faticherebbe a marciare sul selciato. Eppure, una carrozza con due bambini, arrancando, è riuscita a raggiungere la meta, la terrazza panoramica dell’ex Collegio Baroni, sede universitaria. «Giulia e Mileto in carrozza» opera di Giacomo Manzù di metà Anni Sessanta dal cortile della Gamec è approdata all’Ateneo.

Ciò che appare un faticoso trasloco, un complicato trasferimento di una massiccia opera d’arte, in realtà racchiude in sé una sorta di metafora. La carrozza torna a marciare e con lei si rimettono in moto desideri, idee, sogni per taluni, con l’obiettivo di rivitalizzare e valorizzare l’opera del nostro più grande artista, nonché uno dei più eccelsi protagonisti del mondo dell’arte del Novecento. Donizetti si è ripreso prepotentemente il palcoscenico, con Giovanni XXIII ogni anno è costellato di eventi e anniversari.

Ma la fama di Manzù non può essere offuscata. L’artista è celebrato nelle mostre allestite nei più prestigiosi palazzi del Bel Paese, le sue opere ora dialogano (Dialoghi sulla spiritualità con Lucio Fontana, Castel Sant’Angelo-Ardea 2017), ora si svelano (L’incanto svelato. L’arte della meraviglia da Tiepolo a Manzù, delle Fondazioni Cariplo e Comunità Bergamasca).

Da Christie’s a Sotheby’s, le migliori case d’aste internazionali periodicamente fanno a gara per battere sculture, disegni e pezzi unici dell’artista. Musei di mezzo mondo ospitano le sue opere. E confermano la dimensione mondiale, planetaria, del nostro.

«L’obiettivo è di valorizzare Manzù non solo come scultore, ma come intellettuale e uomo di cultura del suo e del nostro tempo», ha detto ieri il rettore dell’Università, Remo Morzenti Pellegrini, offrendo di fatto una nuova, più moderna, chiave di lettura della figura dello scultore proiettato oltre le mura domestiche, non più chiuso in via esclusiva nel suo mondo artistico. Reduce da un viaggio in Giappone, un paio di settimane fa, il rettore ha avuto da una parte la conferma scontata dell’eco internazionale dell’artista, ma al tempo stesso non è rimasto insensibile nello scoprire – grazie al direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo, Paolo Calvetti (Università Ca’ Foscari) che l’Università di Arti Visive di Yokohama ospita una sala permanente interamente dedicata a Manzù con una decina di sculture e opere grafiche, il «Memorial Manzù».

Esattamente 45 anni fa, il museo di Arte moderna di Tokyo ospitò una mostra personale dello scultore. Fu allora che il Sol Levante rimase folgorato dalle creazioni che uscivano dalle mani nodose dell’artista. Nel 2019 saranno trascorsi 30 anni da quando a New York fu inaugurata una scultura in bronzo, l’ultima sua monumentale opera, davanti al Palazzo dell’Onu.

Lo scorso aprile era stato siglato un accordo fra Comune di Ardea, Provincia di Bergamo e ministero della Cultura e del Turismo per la valorizzazione dell’opera di Giacomo Manzù. È indispensabile riannodare i fili di quel discorso che non può esaurirsi in facili proclami e un elenco di firme su un protocollo.

L’Università ha riacceso i motori, ha spinto la carrozza carica di proposte. Non è utopia riportare sotto i riflettori lo scultore e i suoi capolavori sparsi nei palazzi e nei giardini della città, una sorta di museo diffuso. Ma nel contempo rilanciare un nome fuoriporta.

Uscire dalla facile agiografia, rileggere sotto altre luci l’uomo Manzù, contribuire a scambi di opere fuori dai confini nazionali, sono carte da giocare nel vicino futuro. Manzù deve tornare nella stretta schiera dei nostri ambasciatori della cultura all’estero. I numeri ci sono tutti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA