L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 09 Novembre 2019
La caduta del Muro
La storia siamo noi
«Da subito!». È passato alla storia, ed è pronto a entrare nella leggenda, il botta e risposta tra Gunter Schabovski, portavoce del governo della Repubblica democratica tedesca, e Riccardo Ehrman, allora corrispondente da Berlino dell’agenzia Ansa. È il 9 novembre 1989, le autorità della Germania Est convocano una conferenza stampa appunto per rispondere alle voci sulla prossima apertura del confine. Ehrman contesta a Schabovski le incertezze del regime e i falsi annunci. Il portavoce replica: «I tedeschi dell’Est possono espatriare senza dare spiegazioni». Ehrman: «Vale anche per Berlino Ovest?». Schabovski: «Sì». Erhman: «Da quando?». Schabovski: «Da subito!». Poche ore dopo le sbarre di confine si alzavano e i berlinesi dell’Est e dell’Ovest cominciavano a picconare il Muro.
Trent’anni dopo quei momenti, è lecito, anzi doveroso chiedersi se quel «Da subito!» non ci abbia illusi più del dovuto. Come se in un momento dovesse cambiare tutto per sempre. Chi ricorda lo stupore e la gioia di quei giorni, per esempio chi scrive queste righe, ammetterà di aver pensato che un mondo vecchio stava finendo per lasciar spazio a un mondo giovane e sicuramente migliore.
Studiosi, politologi e anche semplici cittadini erano convinti che nulla sarebbe mai più stato come prima. E ci fu anche chi immaginò che, con quel colpo di scena, la Storia intera avesse raggiunto il culmine, non avesse più sorprese da riservarci e fosse pronta ad andare in pensione. Ecco. A fronte di quanto sopra, sono arrivate nelle scorse ore le parole di Mike Pompeo, segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, che ha approfittato dell’anniversario per dire che i popoli liberi dell’Occidente devono tenere a bada i Paesi come la Russia e la Cina. Proprio come se la Guerra Fredda non fosse finita, come se quel Muro lungo 155 chilometri su cui s’immolarono, nel tentativo di fuggire a Ovest, sia ultraottantenni che bambini sotto i dieci anni, non fosse mai caduto.
In realtà non dovremmo essere troppo pessimisti. La fine della «Barriera di difesa antifascista» (questo era il suo nome ufficiale nella Ddr) ha permesso imprese importanti che hanno in effetti cambiato il nostro mondo e il nostro modo di vivere. Citiamo alla svelta e forse alla rinfusa. Ha consentito la riunificazione delle due Germanie. Con essa è arrivata l’Unione Europea come la conosciamo, con l’enorme spazio di libero scambio di persone e merci che interessa 450 milioni di persone. La Ue ha a sua volta coinvolto un gran numero di nazioni di quella che un tempo veniva chiamata «Europa dell’Est» e ha indubbiamente favorito e accompagnato la loro risalita economica e sociale. Non dobbiamo nemmeno dimenticare, peraltro, che il crollo del Muro arrivò a consacrare un clamoroso e a lungo atteso processo di revisione storico-politica all’interno del cosiddetto «socialismo reale» che in brevissimo tempo liberò energie enormi, anch’esse destinate a cambiare le prospettive del mondo intero. Poco prima dei fatti di Berlino, e proprio in coincidenza con una visita di Stato di Mikhail Gorbaciov, piazza Tienanmen, a Pechino, divenne il palcoscenico dell’insoddisfazione dei cinesi, mentre poco dopo il Muro si dissolse anche l’Unione Sovietica. E non pare poca cosa il cammino compiuto da Cina e Russia in questi trent’anni.
E poi c’è, ovviamente, l’altra faccia della medaglia. Il sogno europeo, in cui ci siamo a lungo specchiati, mostra fin troppe crepe. Il benessere collettivo, che pareva a portata di mano, è sfumato nel grigio della crisi permanente. E soprattutto: dov’è andata quella pace tra le nazioni che sembrava, ancor più che raggiungibile, ormai inevitabile? Se ha ragione Pompeo e Russia e Cina sono una minaccia, che cos’è cambiato, in fondo? Potremmo rispondere «tutto» e «nulla» e avremmo comunque ragione. Perché questo trentennale alla fin fine ci ricorda due cose. La prima è che la Storia si fa di giorno in giorno e che i grandi eventi, come furono appunto quelli del 9 novembre 1989, sono solo i punti esclamativi di un discorso che non s’interrompe mai. E la seconda, ancor più importante, è che la Storia la facciamo noi. Uno per uno e tutti insieme, anonimi come siamo e decisivi come possiamo essere.
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