L'Editoriale
Giovedì 23 Giugno 2016
La Brexit sbagliata
e la follia di Cameron
Sull’ipotesi di Brexit, ovvero sulla decisione di restare nell’Unione Europea oppure uscirne che tra poche ore sarà presa dai cittadini del Regno Unito, si può dire di tutto, e infatti di tutto è stato detto. Che sarà una catastrofe ma anche no, forse una passeggiata. Che azzopperà l’economia inglese o invece quella del resto d’Europa, magari sia l’una sia l’altra. Che se gli inglesi sbatteranno la porta, anche altri Paesi lo faranno. E così via, di ragionamento in ragionamento e pure di sciocchezza in sciocchezza.
L’unica cosa certa è che questo referendum non doveva essere convocato. Il fatto che i 28 Paesi Ue (più gli americani, che sembrano i più nervosi di tutti) siano ora costretti a stare con il fiato sospeso, dimostra a perfezione quanto cinica e inconsistente sia la classe politica che oggi pretende di indirizzare i destini di un intero continente. David Cameron, con questa sciagurata storia della Brexit, ne è diventato il campione. Già l’iniziativa di destabilizzare la Libia nel 2011, d’intesa con il francese Sarkozy e con Barack Obama, aveva dato la misura della sua incoscienza. L’Europa, e l’Italia per prima, da anni pagano a caro prezzo, sotto forma di flussi migratori e rischi per la sicurezza, quell’avventurismo tardo coloniale. Ma un simile risultato non bastava. Nel 2013, per ragioni di esclusiva politica interna, Cameron ha promesso agli inglesi un referendum per decidere se stare o no nell’Unione Europea. Referendum che, nelle sue intenzioni, doveva servire da clava per ricattare la Ue, ottenere condizioni di ulteriore privilegio per la Gran Bretagna.
Il piano non è riuscito. La Ue non ha ceduto. E lo stesso Cameron che nel 2013 prendeva l’Unione Europea a pesci in faccia , oggi si affanna a spiegare agli inglesi che il benessere loro e dei loro figli dipende dalla decisione di restare dentro l’Europa. La vicenda di David Cameron dimostra due cose. Nella quasi totalità dei casi, i leader nazionali sono più che disposti a usare la «casa comune» europea come scusa o capro espiatorio dei loro problemi interni. Ciascuno a modo suo: Cameron con il referendum, l’Austria tirando su il muro al Brennero, la Germania decidendo di aprire ai profughi senza riguardo per i Paesi confinanti, e così via. Ognuno per sé, anche a costo di segare il ramo sul quale tutti stanno seduti.
Perché l’Europa unita (e questa è la seconda realtà) è piena di falle, funziona male, ha perso slancio, non ha visione né immaginazione, è dominata dalla potenza economica tedesca e dalla sua ragioneria. Tutto vero, e altro ancora si potrebbe dire. Ma non c’è politico che non sappia che ancora oggi, con i suoi difetti, la Ue conviene. E infatti Cameron supplica gli inglesi di fermarsi. I greci, con tutte le botte che hanno preso dalla Troika, manco si sognano di mollare la Ue. Men che meno ci pensano i Paesi dell’Est Europa, che intascano i miliardi e fanno pure la voce grossa, una pacchia che mai avrebbero sognato. Portogallo e Irlanda, costretti a drastiche cure economiche di tipo greco, sono ancora lì. Controprova: Turchia, Ucraina, Serbia e Albania farebbero carte false per entrare.
E allora, se non abbiamo rispetto per un ideale politico che pare appassito, abbiamo almeno rispetto per il bruto ma concreto utile economico. Perché, come ora dice Cameron, i referendum tipo Brexit, cioè come quello da lui convocato, mettono a rischio il benessere del suo stesso popolo. Giudichiamo tutti insieme se leader come questo possono ridare all’Europa l’impulso e la concretezza che 400 milioni di persone e lo spazio economico più libero e vivace del mondo meritano. O se non sia giunta l’ora di sceglierci rappresentanti migliori.
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