L'Editoriale
Mercoledì 28 Dicembre 2016
La bellezza del Natale
e i panettoni della crisi
È appena trascorso il Natale. Non sono mancati, neanche quest’anno, i contorni tradizionali della festa, dalle luci, ai regali, ai pranzi, ai viaggi. Non sono mancati, ma hanno risentito delle generali ansie da terrorismo, oltre che della crisi economica. «Sei milioni di italiani a fine anno rinunciano alla vacanza fuori casa», leggo sul sito della Stampa di Torino. Di fronte a questo generale tirare i remi in barca, qualcuno si preoccupa e qualcuno esulta. Si preoccupano quelli che vivono delle attività turistiche e di commercio che girano attorno alle feste. E si capisce. Gioiscono, invece, soprattutto alcuni credenti che vedono nel consumismo natalizio uno snaturamento grave della festa e vedono, tutto sommato con soddisfazione, la crisi di quel consumismo.
La presa di posizione è interessante. Pone in gioco, infatti, il cuore stesso della fede e non è nuova.
Anche per il Natale, i cristiani stanno tornando alle origini. Nei primi tre secoli del cristianesimo il Natale non veniva celebrato: si celebrava solo la Pasqua. I primi accenni alla festa del Natale risalgono al quarto secolo iniziato. In quei giorni si celebrava, nel mondo pagano, la festa del Natalis Solis Invicti. I cristiani hanno inteso sostituirla con la celebrazione di quest’altro sole, il Cristo, indicato nel libro del profeta Malachia come nuovo «sole di Giustizia».
Qualche storico della liturgia aggiunge anche che il 25 dicembre sia stato scelto proprio per una strategia pastorale: bloccare con una festa cristiana la tentazione di un ritorno al paganesimo. Dunque, se questa teoria è attendibile, il Natale nasce in bilico tra paganesimo e cristianesimo: il Natale cristiano del Bambino di Betlemme viene «usato» dalla Chiesa per arginare il Natale pagano del dio Sole. Difficile dire, naturalmente, se le incertezze delle lontane origini sono alla radice delle incertezze attuali. È più probabile che no.
Ma è significativo comunque che qualcosa di quello che c’era allora ritorni oggi. D’altronde, una festa che racconta di un Bambino che nasce in circostanze eccezionali si presta facilmente a essere goduta anche quando non è creduta. È invece tipica del credente la convinzione che quel Bambino non è un bambino qualsiasi. Si potrebbe dire che il credente è come i pastori del vangelo di Luca: nel semplice neonato «posto in una mangiatoia» vedono il figlio di Dio. I pastori hanno sentito gli angeli cantare e hanno creduto a quelle melodie che venivano dal cielo.
Ecco: i credenti sono quelli che hanno sentito cantare gli angeli e gli hanno creduto. Per dirla con le parole solite, è una questione di fede. Ma non tutti credono e a Natale non tutti sentono gli angeli cantare sopra una stalla.
Ora, i credenti che lamentano lo snaturamento del Natale dovrebbero semplicemente prenderne atto e trarne le conseguenze. Il Natale meno spendereccio, infatti, non è automaticamente Natale cristiano. È solo un no a spendere perché non si hanno soldi o perché si ha paura. Ma crisi economica e paura del terrorismo non sono il Natale. Vendere meno panettoni non significa credere che il Bambino di Betlemme è il figlio di Dio che nasce per salvare gli uomini. In altre parole, il Natale è diventato, in buona parte, festa pagana e il mistero cristiano ha offerto il pretesto per far semplicemente festa. Pensare che si possa ingranare il tragitto inverso e ipotizzare che la società intera possa passare da una festa pagana a una festa cristiana è chiaramente illusorio.
Insomma, anche per le feste di questi giorni (non solo il Natale, ma anche i magi all’Epifania e altre ancora lungo l’anno), i cristiani prendono atto di essere un piccolo gregge. Il loro compito non è quello di attenuare i loro racconti per renderli accettabili a tutti, ma di proporli in tutta la loro nuda bellezza. Di fronte a quella bellezza, qualcuno ha creduto a quei racconti e qualcuno continua a crederci. E, a quel punto, non dovrebbe interessare molto legare quella bellezza ai panettoni venduti e comprati, proprio perché il Natale, quello di Betlemme, è un’altra cosa.
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