Ius soli, Il Pd rischia
un altro 4 dicembre

Paolo Gentiloni ha tolto dal fuoco la castagna dello ius soli, rinviando a settembre il voto sul disegno di legge che concede la cittadinanza italiana a chi è nato e cresciuto nel nostro Paese pur con genitori stranieri. Una castagna avvelenatissima, per il governo: la rivolta dei centristi della maggioranza e l’impossibilità, per ovvie ragioni, di un aiuto dall’esterno (Forza Italia), poteva fare del voto sul ddl l’incidente fatale che avrebbe portato il governo alle dimissioni e la legislatura alla stazione finale. Anche perché la sinistra extramaggioranza avrebbe sì potuto votare il merito del provvedimento ma mai la fiducia al governo, che pure sarebbe stata indispensabile per serrare i ranghi della compagine governativa.

Un rebus, che Gentiloni ha risolto nel più tradizionale dei modi: rinviando. Rinviando a settembre s’è detto, ma più probabilmente rinviando a data da destinarsi. La possibilità che lo ius soli sia finito sul binario morto sono molto alte: a torto o a ragione, l’iniziativa legislativa ha assunto un valore simbolico molto alto. Nel momento in cui gli sbarchi di immigrati si moltiplicano e l’Italia lotta contro i mulini a vento per avere un po’ di solidarietà dall’Europa, concedere la cittadinanza poteva alienare al Pd molto voto moderato senza peraltro fargli conquistare quello di sinistra. Non solo: lo ius soli avrebbe dato il via ad un referendum su cui la Lega avrebbe fatto tutta la campagna elettorale della prossima primavera, e i Cinque Stelle ugualmente avrebbero avuto in mano una carta molto efficace per attaccare il governo (Grillo ha ormai imposto una linea dura sui migranti allineandosi al centrodestra).

Dunque, solo una rimessa per il partito di Matteo Renzi che, pur continuando a proclamare che lo «ius soli è una legge di civiltà», «un impegno prioritario», un «atto di giustizia verso un milione di bambini nati in Italia ma non considerati italiani», di fatto accetta che la cosa venga per il momento archiviata. E, al di là di qualche interessata ricostruzione giornalistica, su questa mossa Renzi e Gentiloni si sono mossi all’unisono, nel comune interesse di non danneggiare oltremisura un partito già in gravi difficoltà. Un partito che si trova sottoposto al cannoneggiamento da tutti i fronti: la destra accusa il Pd di favorire gli sbarchi, di avere una linea lassista sugli immigrati per conquistarne un giorno il consenso elettorale, di provocare l’annacquamento dell’identità nazionale esponendo il Paese alla minaccia dei terroristi islamisti confusi tra i migranti. Viceversa la sinistra, che considera il renzismo ormai «una costola della destra», accusa il Pd di non aver saputo difendere l’unica legge progressista del programma di governo. Insomma, da una parte o dall’altra, il Pd non trova riparo, e questo prefigura uno scenario assai pericoloso, troppo simile a quello del referendum del 4 dicembre scorso quando tutti, ma proprio tutti, accerchiarono Renzi e lo portarono alla sconfitta.

Così potrebbe accadere anche alle prossime elezioni, e lo ius soli avrebbe potuto costituire, sia pure per ragioni diverse tra loro, un tragico passo falso. È il risultato, del resto, di un isolamento politico che è probabilmente il più grave errore tattico del segretario democratico. Non che le cose tra i suoi avversari più acerrimi (quelli di sinistra, ovviamente) vadano bene: tra Giuliano Pisapia, il possibile «Prodi del 2000» e la vecchia guardia ex-comunista dei D’Alema e dei Bersani ormai siamo ai ferri corti. L’ex sindaco di Milano ha proposto di non ricandidare al Parlamento chi abbia all’attivo già due legislature. La reazione è stata inequivocabile: «Renziano!» gli hanno detto in faccia, e mai insulto voleva essere più sanguinoso.

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