L'Editoriale
Giovedì 13 Novembre 2014
Italicum, gli elettori
stanno a guardare
Benché il dibattito sui sistemi elettorali (Italicum 1, Italicum 2) non tocchi apparentemente le questioni centrali della vita – salute, lavoro, istruzione ecc... – e sia monopolizzato da una ristretta cerchia di esperti, in realtà esso parla della madre di tutte le questioni.
Quella del presente e del futuro della nostra democrazia. Il sistema elettorale è una macchina per trasformare i voti degli elettori in rappresentanza parlamentare e in governo. Dal funzionamento di quel marchingegno dipende la qualità della democrazia.
Il problema irrisolto, con cui si arrabatta quella italiana, dopo la fine della Prima Repubblica, è quello della definizione di un mix equilibrato tra ampiezza della rappresentanza e potenza del governo. Questo equilibrio non è ancora stato realizzato. La Prima Repubblica era fondata sul primato delle istituzioni di rappresentanza, sulla centralità istituzionale del sistema dei partiti e, coerentemente, sul sistema elettorale proporzionale, ma scontava una durata media di nove mesi dei governi.
La Seconda Repubblica si è illusa che bastasse un nuovo sistema elettorale tendenzialmente maggioritario per rafforzare il lato della governabilità, anche se i governi hanno raddoppiato la durata media fino a 17 mesi. Non vi è riuscita.
Occorreva, infatti, costruire una nuova architettura istituzionale, un nuovo sistema politico e un sistema elettorale coerente che lo riproducesse. I partiti non hanno avuto la volontà di costruire nuove istituzioni e ridurre il proprio spessore o per via di Assemblea costituente o per via di Commissione bicamerale – finora l’unico tentativo ancora in corso è quello dell’abolizione del bicameralismo perfetto –; hanno cercato, al contrario, la scorciatoia del rafforzamento del ruolo istituzionale dei partiti stessi e dei leader di partito, attraverso il solo mutamento dei sistemi elettorali.
Le due versioni dell’Italicum mantengono la scelta diretta da parte dei leader di partito di gran parte dei deputati, con la stessa filosofia del Porcellum. Quanto alle quote di proporzionalità crescenti, a questo punto diventano solo fumo negli occhi degli elettori. Il nucleo d’acciaio degli eletti non viene scelto da loro, ma dal partito, cioè dal suo leader.
Nuove istituzioni o vecchio sistema partitico? La scelta di Renzi è la seconda. È l’eterno ritorno dell’illusione giacobina che basti un pugno di nuova classe dirigente illuminata, configurata in partito compatto, dietro a un leader, per cambiare l’Italia. Molti commentatori temono una deriva autoritaria. C’è da temere l’opposto: la deriva dell’inconcludenza. Le ipotesi dell’Italicum 2 del premio di maggioranza, che scatterebbe per il partito sopra il 40% dei voti, dell’abbassamento al 3% della soglia di ingresso in Parlamento per i piccoli partiti, della possibilità di presentare fino a sette candidature-civetta, configurano uno scenario di conflittualità tra e dentro i partiti e di ingovernabilità non molto diverso da quelli precedenti.
Ciò che rende la democrazia italiana fragile e esposta alle derive populiste è il fatto che il gioco democratico lascia fuori gli elettori, è tutto racchiuso nella scatola nera delle dialettiche di partito. Gli elettori servono solo periodicamente per confermare/disconfermare. Alla fine, la sostanza dell’Italicum 2 è la riproduzione del sistema partitico esistente, le istituzioni sono ancora una volta irriformate e irreformabili.
Le promesse di bipolarismo e bipartitismo sono destinate a svanire nel nulla? Nel mondo, il mix rappresentanza/governabilità, problema di ogni società complessa, è stato confezionato o con il sistema parlamentare Westminster o con il sistema presidenziale: i partiti propongono, ma gli elettori decidono, con sistemi elettorali severi. Decidono, direttamente o indirettamente, ma contemporaneamente, la rappresentanza e il governo. Le loro scelte diventano vincolanti per i partiti. Qui è l’opposto: decisionismo mediatico, indecisionismo reale.
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