L'Editoriale
Mercoledì 06 Luglio 2016
Italiani all’estero
Allarme Farnesina
Viaggiare Sicuri. Il sito che il ministero degli Esteri propone agli italiani che si muovono viene di solito interpretato come un sito per le vacanze tranquille. Ed è anche giusto che sia così, almeno all’inizio dell’estate. Anche se, a considerare gli ultimi aggiornamenti, gli esperti del ministero arrivano laddove il buonsenso dovrebbe esser già arrivato da solo.
Non occorre la Farnesina per realizzare che in Arabia Saudita è meglio non andare, che il Libano è a rischio, che la situazione in Egitto è pesante e in Tunisia migliora ma forse è meglio non fidarsi troppo. In Marocco si raccomanda «estrema cautela nelle grandi città a elevata presenza turistica» (appunto) e alto è l’allarme pure in India. Il dato più nuovo, per dir così, è che il ministero senta la necessità di specificare che Belgio e Francia sono Paesi sicuri. Mette qualche brivido ma è buono a sapersi.
Se però ci sganciamo dall’idea riduttiva di un servizio per turisti, scopriamo che Viaggiare Sicuri ci dà una mappa del mondo qual è che vale la più approfondita delle analisi politiche. E ci spiega qual è la vera questione che si nasconde dietro l’incubo del terrorismo islamista. Nel solo 2014, gli italiani in viaggio all’estero sono stati 61 milioni (molti hanno fatto più di un viaggio), per 269 milioni di notti trascorse oltre confine. Di questa gran massa di spostamenti, solo circa il 30% era dovuta a turismo. Il resto è stato studio, lavoro, commercio.
Abbiamo fatto il caso dell’Italia ma in qualunque Paese del mondo sviluppato avremmo un quadro analogo. Questo ci dice che il movimento non è più (solo) indice di libertà ma condizione per la sopravvivenza economica delle nostre società. È questa, in fondo, la globalizzazione: poter spostare ovunque persone, merci e capitali con la maggiore velocità possibile. È inevitabile che tutto questo sia regolato dalle leggi oggi prevalenti, che sono quelle del mercato. Ci si sposta verso i Paesi che possono offrire merci a buon prezzo o forza lavoro a salari bassi per realizzare un profitto sui mercati più ricchi, che sono quasi tutti in Occidente. Questo facevano anche gli imprenditori italiani assassinati a Dacca. Non a caso ora la Farnesina invita gli italiani rimasti in Bangladesh a limitare gli spostamenti. Non a caso nel 2014 i viaggi verso Asia e Africa sono calati di quasi il 20 e l’8 per cento.
È così che funziona, a prescindere dal giudizio che possiamo dare di tale globalizzazione. Ed è proprio questo meccanismo che il terrorismo si propone di inceppare. I terroristi dell’Isis colpiscono gli aeroporti perché sono i non-luoghi dove l’essenza della globalizzazione più è rappresentata. E colpiscono lì perché odiano il concetto stesso di travaso di persone. L’Isis, appena è riuscito a controllare una porzione di territorio, si è dato alla pulizia etnica: via cristiani, yazidi, sciiti. E gli assassini di Dacca hanno scelto le vittime in base alla conoscenza del Corano. I nostri e i loro. Nel mondo del terrore, nessun contatto tra diversi è permesso.
Questo stallo perverso rivela due falle. L’islamismo tenta di fermare il mondo, ma l’unico attrezzo che si è dato è una trincea di sangue, un muro di kamikaze, una barriera di stragi. Ma col terrorismo si può far crollare un edificio, non costruirlo. E tanto meno ricostruire un edificio crollato da secoli come quello dell’islam radicale. Infatti l’Isis ha sponsor ricchi e influenti che lo pagano perché distrugga: la Siria, l’Iraq, la Libia, il Bangladesh.
Ma l’Occidente, a sua volta, ha scambiato la globalizzazione per un tapis roulant che scorre sempre nello stesso verso. Cioè, da «noi» a «loro». E invece no: succede anche il contrario, che si tratti di merci, investimenti in petrodollari, migranti o terroristi. Non ci piace ma per quanto si diceva prima, cioè il movimento come condizione di sussistenza economica, è meglio non farsi troppe illusioni su muri, confini e compagnia bella. Rischieremmo, chiudendo gli altri fuori, di chiudere dentro noi.
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