Italia in Libia
da protagonista

Sono passate 48 ore dalla richiesta di aiuto del nuovo premier libico Al Sarraj per la difesa dei pozzi petroliferi contro l’Isis e dal pieno sostegno garantito al suo governo dal G5, ma ancora non si capisce se la vicenda libica sia arrivata o meno a una svolta. Sulle prime, era sembrato che un’operazione militare a guida italiana, con la partecipazione di 900 soldati, fosse imminente, ma nel giro di poche ore Palazzo Chigi e lo Stato maggiore hanno smentito, ridimensionando l’ipotetico corpo di spedizione a 250 uomini forniti da varie nazioni, con il solo compito di proteggere le organizzazioni internazionali presenti a Tripoli.

In realtà neppure questo intervento è imminente: anche se non strettamente necessario secondo il Diritto internazionale, sembra che si voglia aspettare che il governo Al Sarraj venga legittimato anche dal Parlamento di Tobruk (paradossalmente, fino a ieri, l’unico riconosciuto dai principali Stati e oggi diventato un ostacolo alla normalizzazione) cui l’inviato dell’Onu Kohler ha dato dieci giorni di tempo per prendere una decisione, e poi faccia una formale richiesta di intervento al Consiglio di Sicurezza.

Solo se questo – superando un possibile niet della Russia – darà mandato agli occidentali di intervenire, si prenderà l’iniziativa, ma da parte italiana ci sono forti dubbi sulla opportunità di rispondere alla lettera all’appello di Sarraj: i giacimenti attaccati dal Califfato e finora difesi da una compagnia di «guardie petrolifere» comandate dal signore della guerra Ibrahim Jadran, non sono infatti quelli dell’Eni in Tripolitania, ma quelli della Cirenaica, gestiti da compagnie francesi, spagnole, inglesi e americane. Per giunta, essi sono attualmente nelle mire non solo degli jihadisti di Sirte, ma anche del generale Haftar, l’uomo forte di Bengasi appoggiato da Egitto ed Emirati che ha appena ricevuto (violando l’embargo Onu) mille blindati leggeri per lanciare la sua offensiva.

Per complicare ulteriormente le cose Haftar, sebbene nemico irriducibile dell’Isis e quindi alleato indispensabile per qualsiasi operazione contro l’enclave di Sirte, è anche colui che finora ha impedito al Parlamento di Tobruk di riconoscere il governo di unità nazionale, visto che questo gli nega il comando dell’esercito cui aspira.

Un altro problema è che l’autorità del governo Al Sarraj, pur patrocinato dalle Nazioni Unite, rimane limitata al controllo, peraltro fondamentale, delle tre istituzioni libiche ancora funzionanti in modo unitario, la Banca centrale, il Fondo sovrano e l’Ente petrolifero; sul terreno, si deve accontentare del sostegno, per giunta assai ondivago, di alcune milizie.

Perciò, per aiutarlo a rafforzare il suo potere su tutto il territorio, di proteggere i pozzi, e metterlo in grado di controllare anche il flusso dei migranti, l’Onu dovrebbe intervenire non con centinaia, ma con molte migliaia di uomini (il generale Jean ritiene debbano essere almeno 50 mila) che nessuno intende mettere a disposizione e che comunque provocherebbero una reazione «anticolonialista».

Francia e Gran Bretagna, perciò, pensano che per combattere l’Isis e difendere nello stesso tempo i loro interessi sia meglio ricorrere alle forze speciali. Secondo il Daily Mail, Londra si appresterebbe a lanciare un attacco contro Sirte – dove si valuta che il Califfato possa contare su 3 o 4 mila miliziani – già nelle prossime settimane. I francesi, dal canto loro, hanno offerto ad Al Sarraj di garantire la «sicurezza marittima» del Paese, probabilmente per bloccare le vendite clandestine di petrolio da parte del solito Haftar, che pochi giorni fa è riuscito a far salpare una petroliera con 650.000 barili e sta varando un Ente petrolifero autonomo.

Una ulteriore complicazione per il nostro governo è il deterioramento dei rapporti con l’Egitto a causa del caso Regeni: senza un’intesa con il Cairo, infatti, un intervento in Libia sarebbe ancora più problematico. Non c’è perciò da stupirsi della estrema prudenza di Palazzo Chigi anche se il rischio di ulteriori rinvii è da un lato che l’Isis continui a rafforzarsi e dall’altro che, a furia di aspettare, perderemo la leadership della operazione che ci è stata riconosciuta ancora al vertice di lunedì.

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