Italia e Germania
Immagine e realtà

La notizia che una parte dei lavori di Expo 2015 fosse sotto il controllo diretto o indiretto della malavita organizzata, come denunciato recentemente dai magistrati competenti, ha lasciato il segno. Per molti osservatori stranieri è la conferma che il Paese indugia sui suoi errori. Sono passati più di vent’anni da Mani Pulite, ma le grandi opere sembrano essere gestite allo stesso modo. Tutti ci guadagnano, tranne la collettività. Il familismo amorale appare una piaga diffusa. Non solo nei lavori pubblici, ma anche nei luoghi più impensati, come l’università, l’assegnazione – in questo caso di cattedre – talvolta avviene con criteri clientelari, al punto da costringere il governo a proporre commissioni giudicatrici con presidenza straniera per rompere la catena di favoritismi ormai diventata sistema.

Il fenomeno è talmente diffuso a livello di comportamento sociale da richiedere una presa d’atto di coscienza nazionale. La Germania e l’Italia hanno molte differenze, ma in comune hanno due problemi che la storia ha lasciato loro in eredità: per i tedeschi è il nazismo, per gli italiani la mafia. Nell’immaginario collettivo globalizzato, la mafia è italiana come gli spaghetti, e il razzismo è tedesco come tedesca la birra.Luoghi comuni? Forse, ma pesano. Non a caso quando il governo italiano ha protestato per la restrizione delle libertà democratiche in Turchia, si è sentito rispondere dall’autocrate di Ankara Erdogan di pensare alla mafia. Una risposta di questo tenore riferita al razzismo nazista, un qualsiasi capo di Stato o di governo internazionale, non può darla ad Angela Merkel. Perché con l’operazione frontiere aperte e l’accoglienza assicurata a un milione di profughi siriani, il Paese è riuscito a cambiare la sua immagine all’estero. Intendiamoci, il problema del razzismo non è stato sradicato in Germania e la presenza di AfD, partito a carattere xenofobo, peraltro in crescita, lo testimonia. Ma l’ azione di governo è chiara, e l’opinione pubblica ha dovuto confrontarsi con la propria storia.

Tutto questo è stato possibile perché al ceto medio e ai cittadini in generale è stato spiegato che il loro benessere dipende molto dal livello di accettazione della Germania sui mercati internazionali. Se l’immagine del Paese è segnata dal sospetto di razzismo, come si può convincere un governo - o un cittadino di un Paese africano o asiatico - a fare affari con chi non ha preso le distanze dalle colpe dei padri? Le multinazionali tedesche hanno bisogno non solo di essere, ma anche di apparire globali. Non basta che i loro prodotti siano competitivi , devono essere percepiti come anonimi, senza retropensieri che influenzano il cliente. Il compratore guarda al prezzo e alla qualità, ma se, acquistando, ha la sensazione di contribuire a una causa sbagliata, ci ripensa. Questo in Germania è stato capito, e se l’avanzo dell’export ha raggiunto quasi il 9% del Pil al netto delle importazioni, è anche perché nessuno ha potuto permettersi di accusare Berlino di nascondere le proprie colpe storiche.

Se la classe dirigente italiana non lasciasse solo ai magistrati il compito di combattere la mafia e la corruzione e si ponesse il problema di coinvolgere i cittadini nella lotta al male endemico della nazione italiana non sarebbe un atto di vergogna ma di riscatto. Forse potremmo dire anche noi ai cinesi che vengono a fare shopping di aziende in Italia quello che stanno dicendo in questi giorni i tedeschi: vogliamo condizioni di reciprocità. Cioè poter fare altrettanto a casa vostra. L’autorevolezza è il problema di chi convive con la corruzione.

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