L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 22 Maggio 2018
Intanto Mattarella
non fa finta di nulla
A Sergio Mattarella proprio non deve essere piaciuto il modo con cui Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono saliti al Colle per presentargli il solo nome di Giuseppe Conte, esecutore materiale in veste di presidente del Consiglio di un accordo politico e di un «contratto» di governo già siglati. Proprio il contrario di quel che stabiliscono la lettera e la prassi costituzionale: il Capo dello Stato, dopo le consultazioni con i partiti, incarica una personalità di formare un governo; questi avvia una trattativa con la maggioranza che intende raccogliere e, una volta raggiunto il risultato, torna al Quirinale per «sciogliere la riserva» e proporre, sempre al Presidente della Repubblica, il programma e la lista dei ministri (che storicamente è sempre entrata a Palazzo in un modo e ne è uscita diversa).
Questa procedura rispetta i poteri del Capo dello Stato e la sua funzione di garante della Costituzione: rovesciandola, come hanno fatto il capo leghista e quello grillino, lo si fa passare per un alto funzionario che deve mettere un timbro e via.
Per far capire che non era per niente d’accordo con questi metodi, Mattarella invece di convocare Conte per dargli l’incarico, come tutti si aspettavano, si è preso una pausa di riflessione e per oggi si limiterà ad ascoltare i pareri dei presidenti del Senato e della Camera. Poi si muoverà. Ed è sicuro che non accetterà una lista di ministri «prendere o lasciare»: ha già avvertito che sarà lui a dire l’ultima parola sui ministri di garanzia istituzionale come gli Esteri, la Difesa e l’Economia, quelli insomma dove si attuano i più importanti impegni che l’Italia ha preso con i Paesi alleati e con il mondo.
Dunque, il nome di Salvini e Di Maio per Palazzo Chigi è quello di Giuseppe Conte. Di orientamento grillino (ma ex elettore di sinistra), è docente di Diritto privato alla Luiss e a Firenze. Era stato già indicato come possibile ministro della Funzione Pubblica in un ipotetico governo Di Maio. È uno studioso apprezzato ma non ha mai fatto politica, non ha uno standing internazionale (come hanno scritto parecchi giornali stranieri, a cominciare dal Financial Times), non ha competenze economiche. Guarda caso, tutte caratteristiche che Mattarella aveva richiesto a Salvini e a Di Maio per consentire al nuovo governo un avvio immediato senza i capitomboli tipici del noviziato. Considerando che a fine giugno c’è un importantissimo Consiglio europeo e che occorre discutere con Bruxelles di una montagna di cose, a cominciare dal deficit e dalla manovra d’autunno, sarebbe stato opportuno un profilo di altro genere. Ma questo è il compromesso cui sono arrivati i due «consoli» del governo. Per loro stessi hanno ritagliato lo spazio più adeguato alle rispettive promesse elettorali: Salvini vuole andare all’Interno per avere «mano libera» su immigrazione e sicurezza; Di Maio si vede come super-ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico per dare attuazione al reddito di cittadinanza.
Quando si presenteranno in Parlamento potranno contare su una maggioranza di soli sei voti a Palazzo Madama. Ormai Forza Italia e Fratelli d’Italia sono decisamente orientati all’opposizione e non soccorreranno il nuovo governo. Tantomeno lo farà il Pd.
Per il momento infine i contraenti del patto non mostrano grande preoccupazione per lo spread che sale ogni giorno (ieri ha toccato quota 190) da quando è stato reso noto il contratto di governo. Però in molti cominciano a pensare che potremmo avere un’altra estate finanziariamente calda. Anche per questo sarà importantissima la scelta del nuovo ministro dell’Economia, il successore di Padoan, Tremonti, Padoa Schioppa, Monti e Ciampi.
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