Insulti social
Serve un argine

L’Italia è un Paese libero e chiunque ha diritto di esprimere la propria opinione ( lo dice l’articolo 21 della Costituzione), anche su una multa comminata da un vigile urbano naturalmente. Ma quel vigile urbano va rispettato perché esiste anche l’oltraggio a un corpo politico, come recita l’articolo 342 del Codice penale: «Chiunque offende l’onore o il prestigio di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o di una rappresentanza di esso, o di una pubblica autorità costituita in collegio, al cospetto del Corpo, della rappresentanza o del collegio, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000». Ecco perché è giusto denunciare per oltraggio a pubblico ufficiale, come hanno fatto i vigili di Romano, gli autori delle ingiurie sui social networks per una sanzione contestata con pesanti commenti. E anche il sindaco ha giustamente presentato un esposto a tutela dell’onorabilità della polizia locale. I denunciati ci penseranno due volte prima di lanciare un’altra volta insulti nel cyberspazio.

Non è la prima volta che accade un fatto del genere. Episodi analoghi ci sono stati ad esempio nei mesi scorsi a Firenze, a Montecatini, a Livorno e in alcune località del Sud. Tutti uguali nel loro genere «commenti irriguardosi nei confronti della polizia locale dopo aver preso una multa». Le circostanze sono sempre le stesse.

Di solito ci si trincera dietro uno pseudonimo e si inveisce contro i vigili con espressioni da suburra, spesso cariche di odio, parolacce, contumelie di ogni tipo. Prendere una multa non è mai un piacere, ma nessuno ha il diritto di inveire e di insultare chi fa semplicemente il proprio mestiere. Nessun agente ha la vocazione a vessare un automobilista. Sono state significative le parole del comandante della polizia locale: chi utilizza i social deve sapere che è come se si mettesse a parlare in piazza davanti a tutti. E sono chiamati a rispondere di quello che dicono e scrivono quando si violano le norme.

La reputazione e l’autorità di chi lavora per la sicurezza pubblica e per la gestione del traffico non è cosa da nulla. Purtroppo tutto questo si inserisce in un contesto generalizzato riguardante la nostra epoca dei social. La polizia locale non è certo la sola a incorrere in questo genere di rischi e di messa alla berlina. Anche la nostra categoria, per citarne una, sa bene cosa accade a finire nel tritacarne dei media.

Come diceva Umberto Eco, una volta certe affermazioni potevano avvenire solo nei bar sport al secondo bicchiere di rosso. Oggi l’enorme potenziale della Rete e la democrazia orizzontale che ne deriva consente a chiunque non solo di dire la propria su tutti e tutti, mascherandosi dietro un falso profilo o dietro un falso nome, ma addirittura di raggiungere con effetto virale tutto il «villaggio globale», per usare una vecchia espressione coniata dal massmediologo Marshall McLuhan. Ci si sente al sicuro nel buio della propria camera di fronte a uno schermo e ad una tastiera o con il proprio smartphone in mano. Senza sapere più di tanto di avere a che fare con una potenziale pistola capace di sparare proiettili digitali, spesso devastanti. Naturalmente questo genere di fenomeno non può essere perseguito solo con una multa o in un’aula di tribunale. Il tasso di civiltà di un Comune, di una città e di una Nazione si misura anche da questo genere di fenomeni. Ma in Italia siamo ancora molto lontani dal dare lezioni di civiltà nella comunicazione. Non parliamo poi dei giovani: secondo una recente ricerca del ministero dell’Istruzione per un ragazzo su dieci a insultare attraverso i social networks non c’è niente di male. C’è molto lavoro da fare in questo senso.

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