L'Editoriale
Lunedì 27 Novembre 2017
Ingovernabilità
male dell’Europa
Fino a poco tempo fa si diceva, con evidenza scontata, che non bastava vincere le elezioni, ma che si doveva poi governare: i problemi erano due e il bello veniva dopo. Oggi s’è creata una variante fra la successione dei due tempi: è diventato un rompicapo anche far nascere i governi, quindi gli scogli sono tre. Una situazione che, secondo i più, potrebbe toccare all’Italia dopo le prossime Politiche, visto che l’attuale legge elettorale è sostanzialmente proporzionale e con tre blocchi alternativi di peso più o meno equivalente: non ci sarà un vincitore vero e proprio, il risultato sarà interlocutorio più che decisivo. L’ipotesi di una coalizione, grande o meno, è in campo e molto dipenderà dal potere discrezionale del presidente della Repubblica. Ingovernabilità, nuove elezioni?
Questi temi, riassumibili nell’incognita della precarietà e della frammentazione dei partiti in Europa, si sono posti con i tormenti tedeschi che, a tre mesi dal voto, non ha ancora un governo. Un quadro impensabile per una democrazia consensuale, celebrata per la sua stabilità e funzionalità democratica fino a quando democristiani e socialdemocratici non avevano competitori alle loro estreme.
Del resto il Paese della signora Merkel sperimenta sulla propria pelle difficoltà comuni a tutti i sistemi parlamentari europei, in una fase in cui il continente è attraversato da faglie traumatiche e istanze illiberali (Ungheria e Polonia). L’Olanda ha impiegato oltre 4 mesi per imbastire un governo di coalizione, la Spagna ha votato due volte e il monocolore di destra è sostenuto dall’esterno dai socialisti (a loro volta divisi sul sostegno all’esecutivo). I conservatori inglesi hanno perso le elezioni anticipate, non hanno la maggioranza e il loro destino dipende dagli unionisti nordirlandesi. L’Austria è ancora in ballo e probabilmente i Popolari governeranno con l’estrema destra.
L’unico sistema che sembra reggere è il semipresidenzialismo francese al prezzo di aver smontato le culture storiche (ex gollisti e socialisti), sbarrando poi il passo, per via della selezione imposta dal doppio turno, alla destra radicale della Le Pen, titolare di oltre 10 milioni di voti. Ci sono poi le anomalie della crisi: in Grecia la sinistra radicale governa con la destra nazionalista e le politiche economiche, imposte da Bruxelles, sono l’opposto del programma che ha portato al governo Tsipras.
L’Italia, infine, in questa legislatura ha avuto tre governi. In sostanza la febbre della democrazia accomuna sia i sistemi maggioritari, teoricamente più efficienti, sia quelli proporzionali, ritenuti più rassicuranti. Qualcosa non funziona più. È vero quel che sosteneva in un suo libro l’ambasciatore Sergio Romano, e cioè che di democrazia si può anche morire, perché il calendario politico europeo sembra ormai diviso fra periodi pre elettorali e post elettorali.
Ma conviene riflettere anche sull’intervista di sabato a «Repubblica» di Napolitano. Il presidente emerito, con uno sguardo europeo partendo dalla Germania, ha parlato dei rischi di ingovernabilità, «uno stadio più preoccupante rispetto all’instabilità». Dunque, «fenomeni gravi, complessi, senza precedenti». Più che incidenti di percorso paiono passaggi d’epoca, fratture storiche che colgono impreparate le istituzioni. Il fattore P, populismo, in grado di azzoppare e condizionare anche da perdente i parlamenti, ma pure di mettere a nudo i limiti della rappresentanza, risulta decisivo e discriminante. Le stesse formule elettorali pensate per l’alternativa destra-sinistra non reggono allo standard dei tre poli dove il conflitto ha una natura diversa. E, quando ci riescono, non miscelano bene e producono effetti troppo distorsivi sulla rappresentanza. Problemi aperti, da affrontare ai fini della qualità della democrazia.
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