L'Editoriale
Giovedì 12 Aprile 2018
In Siria si gioca
la pace mondiale
A quanto pare ce l’abbiamo fatta. Dopo anni di uno scontro crudele (perché combattuto in Siria e sulla pelle dei siriani) ma indiretto (perché combattuto attraverso alleati e vassalli, di volta in volta l’Isis, Al Nusra, le milizie di Hezbollah e quelle organizzate dall’Iran, l’esercito siriano, i mercenari arruolati dall’Arabia Saudita e così via), stiamo varcando la soglia di una guerra tra Usa e Russia o, almeno, di uno scontro militare diretto dalle conseguenze non solo nefaste ma anche ampie e, dal punto di vista umano e politico, costose in una misura che nessuno può oggi prevedere. Un assaggio di quel possibile futuro lo stiamo già vivendo.
Il Mediterraneo si chiude ai voli e agli spostamenti, navi da combattimento americane muovono verso le coste della Siria e parte della flotta russa, che in Siria ha rigenerato le proprie basi, mostra i muscoli con esercitazioni che sanno di sfida. E non c’è solo questo. Gli allarmi si addensano anche in Europa, soprattutto intorno all’Ucraina, perché il gioco delle azioni e reazioni potrebbe investire qualunque punto della linea di scontro tra Usa e Russia.
Diciamolo senza fronzoli: è una follia. E lo sarebbe anche se fosse provato oltre ogni ragionevole dubbio che l’aviazione di Bashar al-Assad ha davvero usato i gas contro i terroristi asserragliati a Douma, i civili che erano dalla loro parte e i civili che invece i miliziani usavano come scudi umani. Una battaglia tra potenze, per non parlare di una guerra guerreggiata, provocherebbe solo altre sofferenze (al popolo siriano e ad altri) e non farebbe risparmiare vite umane ma, al contrario, ne brucerebbe molte in più, perché prolungherebbe oltre ogni misura la guerra sul suolo siriano.
È molto probabile, peraltro, che tale sia lo scopo di questa improvvisa escalation della tensione. Proprio in Siria, infatti, gli Usa hanno subito una sconfitta politica tra le più cocenti: per la prima volta, uno dei loro progetti di «regime change» (cambiamento di regime) è fallito. Assad non ha fatto la fine di Slobodan Milosevic, Saddam Hussein, Muhammar Gheddafi, Viktor Janukovich e degli altri leader che nel corso sono stati giudicati, a fasi alterne e secondo necessità, amici fraterni da proteggere o dittatori spregevoli da eliminare. Se Assad non può essere cacciato, gli sia reso impossibile governare la Siria, addirittura avere una Siria. E poiché quel progetto è fallito a causa dell’intervento della Russia, sia punita anche lei, creandole un secondo Afghanistan in terra siriana o un Vietnam personalizzato. L’esatto contrario di quel che ha fatto la Russia in Ucraina, favorendo la secessione del Donbass dopo il colpo di Stato, sostenuto dagli americani, che nel 2014 ha cacciato il presidente filorusso Janukovich.
Tutto questo ci riguarda da vicino, se non altro perché l’Italia è piena di basi militari e di testate nucleari americane. E anche se il nostro Paese vuole, comprensibilmente, rimanere fedele ai punti cardinali atlantisti ed europei (gli Usa come principale alleato, la Nato per la sicurezza, la Ue come casa comune), deve comunque provare a sottrarsi alla follia incombente. Fedeltà non significa appiattirsi su tutte le scelte di alleati che, per calcolo o insipienza, ci hanno più volte trascinati in imprese pericolose e sballate. L’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011, adesso uno scontro aperto con la Russia. Non è abbastanza?
E poiché anche da noi già si delineano fronti e schieramenti, tra l’altro in una fase di governo provvisorio del Paese, vale la pena di dire una cosa. Tra Matteo Salvini, che invita l’Italia «a una presa di posizione netta contro ogni ulteriore e disastroso intervento militare in Siria», e gli intellettuali alla Saviano che si fanno fotografare col naso tappato, preferiamo il leader della Lega Nord. Non per scelta politica ma per una questione di buon senso e, tutto sommato, anche di coerenza e coraggio. Tapparsi il naso adesso, dopo essersi tappati occhi e orecchie per anni mentre i miliziani di Jaish al-Islam ammazzavano civili innocenti a Douma e altrove, è davvero troppo, troppo facile.
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