In Italia il potere
logora solo chi ce l’ha

Nell’Italia del piccolo terremoto elettorale non valgono più neppure i granitici insegnamenti di Giulio Andreotti: oggi il potere logora chi ce l’ha. Il premier Renzi esce frastornato da un confronto che sperava liscio e invece si è dimostrato spinoso, pieno di trappole. Condizionato da un centrodestra decisamente incline ad allearsi con i Cinquestelle trionfanti e da una sinistra dedita allo «sconfittismo», quella malattia che prende i progressisti rossi quando avvistano nei loro radar un riformista rosa come l’ex sindaco di Firenze.

A dimostrazione di questo, dopo le polemiche dei giorni scorsi Massimo D’Alema si è esibito in un’altra pierinata: «Voto secondo le indicazioni del partito», ha detto. Come se fossero univoche, come se la sinistra dei movimenti e delle magliette del Che fosse d’accordo su qualcosa con Sala o Giachetti o perfino il governativo Fassino. A Roma va come tutti s’aspettano e Virginia Raggi sale in Campidoglio – prima donna nella storia – sull’onda di un trionfo quasi scontato. I romani s’erano legati al dito la stagione Marino, la Panda rossa, gli scontrini, Mafia Capitale, gli scioperi selvaggi dei trasporti, la monnezza davanti ai portoni. Problemi seri che l’avvocatessa si ritrova in regalo col fiocco e dovrà provare a risolvere, trainata da un partito che sembra avviato verso una seconda fase di vita, quella adulta.

Messi in soffitta i microchip sotto pelle, le elezioni sulla Rete, le espulsioni a capocchia, i Cinquestelle si ritrovano con un elettorato convinto e partecipe. Dovranno esserne all’altezza e dovranno dimostrarlo nella città più difficile, che sopravvisse a Nerone e non sembra per niente impressionata dalle funivie. L’unica vera consolazione di Renzi è Milano, dove Beppe Sala strappa il successo a fatica a un Parisi che sembrava lanciatissimo in rimonta come un velocista in volata. L’esempio della bici potrebbe risultare urticante per il campione del centrodestra, che sull’onda delle boutade di Salvini (il quale ha perso pure Varese) aveva improntato la campagna elettorale contro due pilastri dell’ecologismo meneghino: le piste ciclabili e l’Area C. Errore letale che consegna Milano al manager dell’Expo e sancisce il declino della Berlusconi generation. Sorpresa a Torino, dove lo schiaffo di Chiara Appendino a Piero Fassino conferma la stanchezza degli elettori nei confronti dell’establishment (da vent’anni era governata, pur bene, dal centrosinistra) e la crescita dei grillini senza Grillo come forza ritenuta in grado di prendere il volante delle città.

Prende forma in questi ballottaggi un’Italia che rifiuta il bipolarismo e che sempre più, nella sua vocazione proporzionale, tende a essere tripolare. L’allarme per il governo si sente da lontano. Sia per l’astensionismo imperante (partecipazione al 50,4%), sia per il credito che l’elettorato ha inteso dare al Movimento Cinquestelle, capace di intercettare il mal di pancia cronico di un popolo che non si riconosce più nei simboli della politica tradizionale.

È doveroso non dimenticarsi di Napoli, dove De Magistris va in processione come se con lui si fosse candidato Higuain. Rientra nel Maschio Angioino accompagnato dal 70 per cento dei napoletani e da un miliardo di debiti che proverà a far pagare a tutti gli italiani. Motivo eccellente – ma solo a detta dei partenopei – per stringersi a lui.

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