In Israele il calcio
è politica

Come è noto, l’amichevole di calcio tra Israele e Argentina prevista per oggi a Gerusalemme in preparazione dei Mondiali in Russia non ci sarà. L’ambasciata israeliana in Argentina ha parlato di «minacce e provocazioni» non specificate contro il capitano argentino Lionel Messi, ma la decisione sarebbe stata presa a seguito delle forti pressioni palestinesi e delle richieste di alcuni giocatori argentini, tra cui lo stesso Messi, che ha avuto un peso determinante. L’amichevole in Israele aveva suscitato molte polemiche anche per il luogo scelto per giocarla, il Teddy Stadium, l’impianto che ospita le partite del Beiter, squadra nata in ambienti sionisti israeliani e con una tifoseria fra le più xenofobe e violente del calcio mondiale.

Quella di cancellare il match non è una decisione da poco perché il calcio, in virtù del suo seguito globale e della sua enorme popolarità, è anche politica. Lo è sempre stato. Per non parlare del fatto che Israele è una nazione che finisce inevitabilmente sulla ribalta internazionale per ogni cosa che accade. Quest’anno poi Israele è diventata un caso internazionale dopo la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico e soprattutto dopo le numerose uccisioni dei palestinesi, più di 120, per non contare delle migliaia di feriti, che protestavano al confine della Striscia di Gaza.

Ma cos’era accaduto per arrivare alla soppressione del match? La partecipazione dell’Argentina è stata accolta dalle proteste dei palestinesi, con volantini e manifesti che mettevano in guardia («Attenzione. State per entrare in un territorio occupato dove i diritti umani sono sospesi. Gerusalemme è la capitale della Palestina»), con appelli a Lionel Messi perché non scendesse in campo. A Barcellona poi, la città del capitano argentino, dei militanti palestinesi avevano manifestato indossando magliette della nazionale argentina imbrattate di sangue. Risultato: match annullato.

Di certo è stato uno schiaffo ad Israele, proprio nel momento in cui il suo leader Benjamin Netanyahu cercava di rilanciare diplomaticamente il suo Paese dopo i vari fatti che si sono susseguiti a partire dalla fine di marzo. Il premier era stato accolto nelle varie capitali senza subire particolari proteste da parte delle cancellerie. Ed ora ecco l’insidia più devastante: l’immagine data da un’amichevole che di amichevole aveva ben poco sul piano politico perché i due Paesi da sempre hanno un retaggio storico conflittuale. Basterebbe ricordare il fatto che al termine della Seconda guerra mondiale l’Argentina, attraverso la cosiddetta «rat line», la rotta dei topi, ha accolto numerosi criminali nazisti raggruppati nell’organizzazione Odessa e che Israele nel 1960 attuò un clamoroso blitz attraverso il Mossad per rapire e poi processare, condannandolo poi a morte, l’aguzzino dell’Olocausto ebraico Adolf Eichmann. Per non parlare dell’attentato all’ambasciata israeliana di Buenos Aires, nel 1992, un attacco suicida che causò 29 morti e 242 feriti; o dell’altro grande attentato che colpì gli ebrei argentini nel 1994, quando fu fatto saltare l’edificio comunitario dell’Argentine Mutual jewish association, provocando la morte di 82 persone. Netanyahu ha cercato di far cambiare idea a Buenos Aires, chiamando Mauricio Macri, il presidente argentino. Ma non c’è stato nulla da fare. I calciatori hanno preferito non giocare per non essere associati alla politica israeliana, e alla drammatica repressione delle proteste di Gaza, costata la vita a un centinaio di civili.

L’incontro annullato dunque è stato un segnale molto forte. Potrebbe costituire un vero e proprio precedente. Un vero «calcio di rigore» nei confronti di Israele, proprio nell’anno in cui celebra i settant’anni dalla nascita.

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