L'Editoriale
Lunedì 03 Settembre 2018
Illiberale o diretta
democrazia in crisi
C’è voluto il blocco dei profughi imbarcati sulla Diciotti perché venisse alla luce un’aperta frizione tra Lega e Cinquestelle. Intendiamoci, nulla di particolarmente eclatante. È da quando ha emesso i primi vagiti che il governo Conte accusa una serie di contraddizioni al suo interno. Due bacini elettorali potenzialmente l’un contro l’altro armato (un Nord produttivo e un Sud assistenzialista), ben rintracciabili nelle due proposte simbolo agitate da Salvini e Di Maio della flat tax e del reddito di cittadinanza.
Due orientamenti divergenti su molti temi di rilievo strategico come grandi opere (Alta velocità e gasdotto), uso delle armi per legittima difesa, ruolo dello Stato nell’economia (Ilva, Alitalia, Autostrade, ecc.). Sino ad oggi le potenziali ragioni di contrasto sono state, però, abilmente depotenziate della loro carica divisiva, valorizzandole anzi come risorse politiche capaci di allargare il bacino elettorale di entrambi i partiti al punto che - si paventa - Lega e M5s potrebbero riuscire ad animare da soli la dialettica tra maggioranza e opposizione, propria di ogni democrazia in buona salute. Il giochetto è riuscito finora per l’indubbia capacità comunicativa dei due vicepresidenti del Consiglio, per il silenziamento dei problemi più scottanti riuscito grazie ai continui rilanci di proposte agitatorie (come l’allarme immigrazione o lo scandalo delle concessioni autostradali), infine - va detto - per la nullità politica delle opposizioni. Un giochetto, questo, comunque non protraibile all’infinito. Incombe la Legge di bilancio e allora (tra pochissimo) le promesse elettorali andranno a sbattere contro il muro dei conti pubblici.
C’è un’ulteriore divisione operante all’interno della maggioranza, sinora rimasta latente e per questo non adeguatamente colta in tutta la sua potenziale esplosività. Verte - scusate se è poco - su quale futuro Lega e M5s intendono riservare alla democrazia rappresentativa, l’unica che conosciamo e che noi, al pari di tutto l’Occidente, abbiamo praticato sino a oggi. I grillini la considerano morta e sepolta, quindi non più proponibile. Da parte sua, il Carroccio non si è espresso apertamente in materia. Si è limitato a trattarla ruvidamente come un meccanismo obsoleto, quindi da rimaneggiare a fondo. Solo i Pentastellati hanno pronta la soluzione: la famosa democrazia diretta, salvo poi, sia detto en passant, tradirla nei fatti con una guida del loro movimento e, ancor più della loro delegazione al governo, che dire leaderistica è dir poco.
I leghisti al contrario, anche se non lo hanno esplicitamente annunciato, praticano e secondano (con molti atti, anche solo simbolici come è stato l’incontro/abbraccio di Salvini con Orban di questa settimana) una deriva il cui approdo sarebbe una versione opposta di democrazia: non diretta ma «illiberale», ossia leaderistica, svincolata il più possibile da poteri indipendenti, come la magistratura e la stampa. La divergenza sulla cura da adottare all’indubbia crisi in atto della democrazia resta per così dire in uno stato dormiente, anche perché nessuno dei due soci di maggioranza ha interesse a puntare su un tema scarsamente mobilitante del largo pubblico. Dormiente non significa però irrilevante, visto che riguarda il futuro delle nostre istituzioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA