Il «sovranismo»
minaccia l’Europa

Ha grande successo un nuovo termine dell’eterno politichese italico. È il «sovranismo». In modo più casareccio, si potrebbe tradurre con il «padroni a casa nostra» della Lega, quando non aveva ambizioni nazionali. Più elegantemente, vorrebbe significare recupero dell’autonomia dei popoli, «vessati» dalla globalizzazione e dalle organizzazioni sovranazionali tipo Unione Europea, Onu, Nato. Robetta costruita da statisti, ora da smantellare, per badare ciascuno ai fatti propri.

È un segno dei tempi. Populismo suona male, pur avendo una illustre ascendenza nella Russia a cavallo del XIX e XX secolo (propaganda e proselitismo degli intellettuali presso il popolo, dice il dizionario Treccani, culminata con l’assassinio di uno zar, Alessandro II). Altri tempi. Di populismo muore oggi non uno zar, anzi vi si ispira il nuovo zar di Mosca, ma sta maluccio la salute del buon senso (ritenuto ormai troppo politicamente corretto), facendo la fortuna di chi i mali li denuncia e indica la soluzione solo nella semplificazione dei problemi. Nell’era della complessità, nulla di peggio delle soluzioni semplicistiche: respingere i migranti in mare e tanti saluti, decidere con un voto sul web qualsiasi cosa, mandare al potere l’incompetenza, mollare l’euro senza preoccuparsi dell’inesistenza monetaria dell’Italia. E così via.

Sovranismo è quello che induce Trump a cancellare con decreti improvvisati pezzi di storia democratica americana, è quello dell’autocrazia di Putin, della dittatura di Erdogan. Tutta gente votata in libere elezioni, si badi. E questo pone grossi problemi di identità per la democrazia. Nel suo recente libro, Sabino Cassese ha affrontato la questione indicando nella violenza e nel fanatismo religioso i detonatori dello sconquasso che fa tremare l’Occidente. Ma alla fine, formula una speranza che non piacerà certamente ai sovranisti nostrani, spegnendo il sorriso disarmante di Giorgia Meloni affiancata dal sovranista padano e da un Toti in libera uscita da Arcore. Per Cassese, infatti, la speranza risiede in quello che definisce l’obbligo reciproco orizzontale degli Stati europei nel riconoscere pezzi di sovranità all’Europa. Un’Europa, beninteso, che capisca proprio in questo frangente molto drammatico che solo unita può competere con il neo protezionismo Usa, perché nessuna delle sue componenti, né il Regno Unito che sogna di diventare un paradiso fiscale, né la Germania stessa – da sola - possono competere nella nuova geopolitica mondiale.

Stiamo scherzando col fuoco, perché il protezionismo ha sempre impoverito chi lo ha promosso, mentre il nazionalismo ha generato solo conflitti fratricidi. L’Europa ha garantito a se stessa il più lungo periodo di pace della sua storia secolare solo unendosi, aprendo le frontiere, facendo vivere ai suoi giovani un unico territorio culturale, sociale, di studio e ricerca.

L’equivoco maggiore è oggi nell’interpretazione stessa del fenomeno della globalizzazione. Che è un fatto oggettivo, dovuto allo sviluppo delle tecnologie, specie informatiche, della comunicazione, della conoscenza, tutti fatti in sé positivi, con conseguenze però ambivalenti: crescita per centinaia di milioni di poveri nel mondo, e viceversa impoverimento della classe media nei paesi del benessere. La globalizzazione non è comunque un complotto a tavolino di quattro dottor Stranamore, quelli che sporcano i nostri cieli di scie chimiche, o che chiedono le vaccinazioni per fare il gioco delle multinazionali. Che quest’ultime trovino poi ragioni di marketing virtuoso a fronte delle pericolose iniziative di un multimiliardario diventato Presidente in nome dei dimenticati, è altra questione.

Abbiamo sorriso di certe stravaganze, ma poi sono arrivate le stelle con i Raggi, i muri in Messico, il blocco degli aeroporti agli islamici, mentre affilano le armi nuovi sovranisti francesi dietro la Le Pen, crescono oscure prospettive populistiche in tutte le elezioni del 2017 in Europa.

Naturalmente nulla avviene per caso, e la crescita di questi fenomeni che osiamo definire di regressione culturale e politica, deriva indubbiamente dalle responsabilità di chi ha condotto tanto male le cose sull’altro fronte, quello politicamente corretto.

C’è un’Europa tutta da riformare, un’Onu che deve smettere di essere impotente o strumentalizzata, una Nato che deve trovare il senso di scelta culturale prima che militare. Chiaro che i guai che si preparano all’orizzonte di questo sovranismo anacronistico e autolesionista, hanno le loro radici negli errori delle classi dirigenti.

La democrazia è sempre il migliore dei metodi (le teste le conta, non le spacca), ma la democrazia del XXI Secolo rischia di morire soffocando (democraticamente) se stessa. Per combattere il protezionismo, il nazionalismo e l’egoismo bisogna però avere la schiena diritta. L’idea che si stiano preparando in Italia elezioni tutte impostate sulla demolizione e non la ricostruzione dell’Europa (anche da parte di leader teoricamente europeisti) promette tempi peggiori, non la scossa che sarebbe necessaria.

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