L'Editoriale
Venerdì 11 Novembre 2016
Il referendum
e il match giudiziario
È andato a fondo anche il nuovo tentativo di bloccare il referendum costituzionale per via giudiziaria. Dopo che il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso del Comitato per il no contro il quesito referendario, anche il Tribunale civile di Milano ha respinto la richiesta del professor Valerio Onida, ex giudice costituzionale, di sollevare di fronte alla Consulta la questione di costituzionalità riguardante la legge del 1970 istitutiva del referendum. Per capirci: Onida sostiene che la riforma costituzionale è così ampia che il quesito dovrebbe essere «spacchettato» (esempio: volete che il Senato cambi così e così? Volete che venga abolito il Cnel? Volete che il rapporto Stato-Regioni si modifichi?) invece che prevedere, come adesso, che si risponda con un «sì» o un «no» all’intera riforma.
Per questo il professore contesta la costituzionalità della legge che 46 anni fa istituì il referendum, perché essa non prevede appunto l’obbligo di «spacchettare» il quesito nel caso di una materia molto complessa e articolata. La risposta del giudice di Milano è stata però negativa: a suo giudizio la riforma, per quanto ampia, è un tutto organico e i vari articoli sono interdipendenti, così è legittimo che il cittadino esprima un giudizio complessivo, senza per questo che si vìoli alcun suo diritto. Del resto - continua il Tribunale - se in un referendum l’elettore potesse scegliere come le ciliegie «questo sì e questo no» (esempio: «L’abolizione del Cnel mi va bene, la riforma del Senato no») si finirebbe per stravolgere la natura stessa della consultazione referendaria. Complicati ragionamenti giuridici che però per la seconda volta producono solo un buco nell’acqua. Che non è nemmeno il solo della giornata: il Consiglio di Stato ha infatti respinto anche la richiesta del Comitato del no di sospendere la consultazione del 4 dicembre in attesa di una sentenza definitiva sul quesito.
I sostenitori del no con queste iniziative giudiziarie stanno cercando in tutti i modi di bloccare il voto referendario: e a memoria di cronista pochi referendum sono stati così contrastati prima ancora della votazione. Curioso, perché in questo momento, con i sondaggi che danno il no in vantaggio, se c’è qualcuno che volentieri rimanderebbe la prova è Matteo Renzi, non certo Onida o quelli che la pensano come lui. Il premier e il partito del sì infatti avrebbero bisogno di più tempo per convincere l’opinione pubblica delle loro ragioni. È per questo che a Palazzo Chigi si stanno studiando nuovi slogan da propagandare. L’ultimo suona più o meno così: «Il sì è il cambiamento, a dire no è la casta», che è poi l’aggiornamento di un altro argomento caro al premier, quello che rivendica ai giovani il diritto di fare le riforme mai realizzate dalle generazioni precedenti.
Ognuno, come si vede, gioca le proprie carte in vista di una battaglia che ormai assume un significato che va aldilà dei nostri stessi confini nazionali. Dopo la Brexit e ora l’elezione di Trump – clamorose prove di rivolta popolare contro l’establishment - in Europa ci saranno varie consultazioni elettorali: le prime saranno il referendum italiano e le elezioni presidenziali austriache; in seguito voteranno gli olandesi, i francesi e infine i tedeschi.
È inevitabile che si trasformino in prove di forza tra opinioni pubbliche nazionali «arrabbiate» e classi dirigenti in difesa. Per cavalcare l’onda piuttosto che farsene sommergere, Renzi sta cercando di dimostrare che dalla parte del cambiamento c’è lui con la riforma costituzionale, e non certo chi vi si oppone per mantenere «privilegi e poltrone». È un tentativo difficile se si siede sulla poltrona del governo, tuttavia non impossibile per chi si è fatto largo nella politica italiana sotto le insegne della «rottamazione» di una vecchia classe dirigente ormai screditata.
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