Il popolo ucraino tra fuga e ritorni

La condizione umana di chi fugge dalla guerra è tra le più dolorose. È un’esperienza di spoliazione: si scappa con i soli abiti che si hanno indosso, con poche borse che contengono gli effetti più cari e più di valore e con i familiari più stretti. Si lascia una vita intera: la terra dove si è nati e cresciuti, la parentela allargata e la propria abitazione, custode di oggetti che raccontano esistenze. È un’esperienza salvifica ma di sradicamento forzato. Diversi studi hanno dimostrato come comporti danni psicologici, che si lasci l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq o l’Ucraina.

L’accoglienza è una cura che lenisce la ferita ma non cancella il dolore. Sono già quasi 700mila i profughi dal Paese invaso una settimana fa dalle truppe russe e crescono al ritmo di 100mila al giorno, un popolo di donne, anziani e minori ospitati in prima battuta soprattutto in Polonia ma anche in Ungheria, Moldavia (lo Stato più povero d’Europa), Romania e Slovacchia. L’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, ha dichiarato di non aver «mai visto uno spostamento di persone così rapido». L’Italia ha previsto di dare un luogo dove vivere ad almeno 900mila ucraini. Sono già arrivati anche nella Bergamasca, che ha confermato di non tirarsi indietro di fronte alle emergenze umanitarie. Ospiti di enti religiosi, case e di parenti, quelle badanti che hanno costituito negli anni una sorta di «welfare familiare», prendendosi cura dei nostri anziani.La Caritas diocesana con il nostro giornale e la Fondazione della comunità bergamasca col supporto del Comune capoluogo hanno poi aperto una sottoscrizione per garantire accoglienza ma anche sostenere i luoghi di provenienza di chi scappa.

Ci sono inoltre gruppi che hanno riempito magazzini di vestiario, farmaci e generi alimentari destinati ai centri di accoglienza nell’Est Europa. Le stime dell’Onu valutano i possibili fuggiaschi in 5 milioni (su 44 milioni di abitanti), se i combattimenti non si fermeranno a breve: un calcolo dedotto dagli obiettivi geografici nelle mire di Mosca e dalla popolazione civile che vi risiede. Tra i governi che hanno aperto le porte ai profughi ci sono anche i sovranisti polacchi e ungheresi (l’esecutivo di Budapest è filorusso). In questi anni si sono distinti per aver eretto muri e reticolati contro chi scappava dai conflitti mediorientali, con conseguenze nefaste: decine di morti di freddo e di stenti. Ma la guerra per Kiev è al confine, genera paure ma anche solidarietà, mentre le contese afghane o siriane sono lontane… I polacchi si considerano poi fratelli degli ucraini e come i magiari sono loro correligionari. L’appartenenza islamica è invece guardata con sospetto oggi.

Dall’Ucraina si scappa verso i confini della salvezza in autobus, in treno o in auto grazie a persone eroiche che sfidano il pericolo per portare in salvo i connazionali, oppure per affari, facendo pagare un obolo. Ma c’è anche chi percorre decine di chilometri a piedi. Già più di 70mila persone hanno attraversato il confine con la Romania, alcune di loro hanno viaggiato proprio a piedi e i bambini hanno affrontato notti e giorni esposti a condizioni estreme, con temperature molto rigide. Gli operatori della storica organizzazione non governativa britannica «Save the children» proprio in Romania hanno incontrato piccoli e mamme pieni di angoscia e preoccupazione perché hanno dovuto abbandonare padri e mariti dopo che le autorità ucraine hanno ordinato agli uomini tra i 18 e i 60 anni di restare a combattere. Ma c’è anche chi, pur essendo nelle condizioni per partire, non può farlo, come una mamma che è dovuta rimanere a Kiev perché ha un figlio disabile non in grado di muoversi per un tragitto così lungo e rischioso. O chi è profugo per la seconda volta, come un afghano fuggito dai talebani e riparato nella capitale assediata.

A confini c’è poi un altro movimento. Quello di chi ritorna in patria per combattere: migliaia di ucraini che hanno lasciato ciò che si erano costruiti in Europa, una condizione economica accettabile grazie a un lavoro stabile, e le loro famiglie. A centinaia sono partiti anche dall’Italia per andare a contrastare l’avanzata dell’esercito russo e difendere la propria patria. I confini ucraini sono così diventati l’incrocio di chi scappa dal rischio di morire e chi a quel rischio va incontro. Un crocevia che dà la misura della tragedia.

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